Quello della maturità è un vero tormentone. Nel senso che ogni anno si moltiplica l’attenzione dei media a questo “rito di passaggio” che è indubbiamente importante e coinvolge un gran numero di ragazzi. E questo, probabilmente, dovrebbe giustificare il profluvio di inchiostro sui giornali e i servizi soprattutto sul web per accompagnare i nostri ragazzi – il Paese verrebbe da dire – a quello che sembra uno scoglio generazionale ineludibile.
In questi giorni di avvio degli esami di Stato si è potuto assistere ad ogni sorta di riflessione/commento/consiglio su come studiare per le prove scritte, come non farsi travolgere dal panico, come gestire l’ansia di esaminandi e genitori di esaminandi, cosa mangiare, come dormire e via ricamando. Con l’effetto, probabilmente, di aumentare in modo spropositato la tensione in quelle persone che ne hanno meno bisogno, cioè gli studenti, per i quali la maturità è sì un appuntamento cruciale ma in fondo ancora e solo un “allenamento” ai tanti appuntamenti cruciali della vita. E’ un momento in cui ci si prepara a “rendere ragione”, ad affrontare le sfide, a misurarsi con il giudizio altrui (e proprio). Con l’enfasi legata al passaggio speciale della conclusione di un lungo percorso di studi e all’approssimarsi dell’ora di scelte sempre più orientate al futuro. Ma con la serenità – dovrebbe esserci – di un avvicinamento graduale, protetto, al primo, importante esame, della serie di quelli che – per dirla con De Filippo – “non finiscono mai”.
Detto questo, la scommessa di questi giorni di esami, una vera prova di “maturità”, è quella di collocare l’appuntamento nel suo proprio contesto, dandogli il valore e il peso che merita. Magari accompagnati da quella vecchia massima latina per cui “oportet studuisse, non studere”, bisogna aver studiato, non studiare, capace di sdrammatizzare in un lampo l’ansia da prestazione dell’ultimo minuto, ricordando sì, severamente, il senso di un impegno continuativo e non improvvisato, ma anche relativizzando l’ineluttabilità dell’appuntamento finale.
E venendo proprio all’appuntamento finale, tra la terza prova incombente e l’orale che potrebbe agitare le notti, in questi giorni di Brexit viene in mente una delle novità della maturità 2016 e cioè la consegna ai neodiplomati del Supplemento Europass al Certificato, un documento diffuso e riconosciuto dall’Unione Europea che descrive le competenze degli studenti e le attività professionali cui possono accedere. I Supplementi – spiega il Miur – saranno diversi per ciascun indirizzo di studio ed elaborati per l’Italia dal ministero dell’Istruzione e dal Centro nazionale Europass presso l’Isfol. Favoriranno – questa è l’intenzione – la mobilità per motivi di studio o di lavoro anche al di fuori dell’Italia. Non sostituiscono il titolo di studio o la certificazione delle competenze, ma renderanno il percorso di studio più chiaro e il diploma finale più comprensibile e più spendibile nel mondo del lavoro.
Non saranno granché questi certificati e la loro efficacia si vedrà, ma in un momento in cui l’Europa unita segna il passo e pare ferita gravemente dal referendum di Londra, anche attraverso questi segnali passa il rilancio del sogno che appartiene soprattutto ai più giovani (e che hanno ben immaginato i “Grandi Vecchi” dell’Europa): una comunità europea senza frontiere ed esclusioni, una Casa comune dove interscambio e mobilità facilitano conoscenza, collaborazione, rispetto, inclusione e, soprattutto, pace.
Alberto Campoleoni