Il Rapporto annuale Istat 2015 mette in evidenza come nell’anno scolastico 2013/14 è cresciuta leggermente la partecipazione al sistema scolastico, grazie anche agli alunni stranieri: il tasso di scolarità della fascia di età 14-18, calcolato considerando solo gli iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, ha raggiunto infatti il 93,6% (era il 93,1 l’anno precedente). E lievita la presenza di alunni stranieri (+2,1% rispetto all’anno precedente): sono oltre 800mila, il 9% della popolazione scolastica.
“Dietro” questa notizia che viene dall’indagine statistica, astratta e fatta di numeri, c’è una realtà molto concreta fatta di volti e persone, di ragazzi e ragazze che tutti i giorni incrociano le loro quotidianità. Stranieri, e italiani, insieme sui banchi di scuola. “Stranieri”, poi non è il termine esatto. Parlare di “alunni stranieri” è infatti quantomeno improprio perché – lo dice Vinicio Ongini, esperto del ministero dell’Istruzione per la scuola multiculturale – “in maggioranza (51,7 per cento) si tratta di bambini nati in Italia che parlano italiano e persino il dialetto locale”.
Lo sanno bene le mamme che accompagnano i loro figli a scuola, alle elementari, ad esempio. E più ancora lo sanno i coetanei, tra loro, condividendo con i compagni di ogni nazionalità non solo i banchi, ma anche i campi di calcio, i parchi, gli oratori. L’integrazione passa da qui. E cammina veloce, anche per chi non è nato in Italia, arriva già grandicello, con mille difficoltà. Eppure, il percorso scolastico, soprattutto nelle classi della primaria, diventa un’occasione straordinaria per l’inserimento.
In alcune Regioni e in speciali realtà ci sono scuole nelle quali gli “stranieri” costituiscono addirittura la maggioranza. In particolare, in Italia sono 510 le scuole che hanno più del 50 per cento di tali alunni, e di queste almeno 40 arrivano (e superano) all’80 per cento.
A volte si è parlato di “scuole ghetto”, con polemiche proprio sulla forte presenza di alunni non italiani in alcuni plessi, ritenuti per questo “svantaggiati”. Polemiche spesso legate a realtà urbane importanti, grandi città e quartieri periferici. In realtà – è sempre Ongini a confermarlo – la realtà delle scuole multiculturali è più forte in provincia, nelle realtà piccole piuttosto che nelle metropoli.
La “scommessa” della scuola – sempre – è quella di creare opportunità. Nel caso specifico, ad esempio, quella di integrare le diversità e di valorizzare le risorse di ciascuno. E proprio questa attenzione è finita sotto i riflettori nel primo incontro tra le “scuole multiculturali” dei capoluoghi italiani, a Roma, sabato scorso (laboratorio #lamultiscuola, coordinato da Ongini). Un’occasione per fare il punto su come l’immigrazione abbia cambiato la scuola e per confrontarsi – tra insegnanti, dirigenti e anche genitori – sulle “buone pratiche”, sui progetti, sulle difficoltà nei percorsi messi in atto per trasformare contesti impegnativi e difficili in laboratori di inclusione e di crescita.
Una “prima volta”, annotavano i media. C’è da augurarsi che non resti isolata: la condivisione, il confronto di esperienze, la trasparenza dei percorsi – con i punti di forza e di fragilità – fanno la ricchezza del sistema di istruzione. In altri termini, la Buona scuola.
Alberto Campoleoni