Inevitabilmente, dopo gli attentati di Parigi il senso di paura e insicurezza che percorre le nostre case e le nostre città si ripercuote sul mondo scolastico.
Non solo perché a scuola se ne parla (e fortunatamente questo avviene) ma soprattutto perché ragazzi e adulti non possono non trasferire nell’ambiente in cui passano gran parte della loro giornata emozioni e sentimenti così coinvolgenti. Emozioni e sentimenti che riguardano in primo luogo il tema delle relazioni e proprio la scuola è un luogo privilegiato per l’esperienza delle relazioni. E dell’incontro con l’altro, con il “diverso”.
Tutto questo appare particolarmente evidente se poi si riflette sulla composizione multietnica, multiculturale e multireligiosa di tante classi, dalle elementari alle superiori. Classi dove si sperimenta concretamente l’integrazione. Tra l’altro con buoni risultati visto che – come spiega un recente studio pubblicato dall’Ocse – l’Italia figura fra quei Paesi (ci sono anche Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera) dove gli immigrati di seconda generazione – quelli cioè nati in Italia – mostrano un attaccamento alle istituzioni scolastiche quasi uguale a quello dei loro coetanei italiani “al cento per cento” (74,2% contro il 77,8%). Restano ritardi tra studenti immigrati e italiani sui risultati scolastici (soprattutto per quanto riguarda matematica e italiano), ma il “senso di appartenenza” dice che entrambi si sentono allo stesso modo “a casa”.
Ebbene, proprio in questa “casa” si può immaginare che i fatti recenti lascino entrare più di un sospetto e più di un’inquietudine. Il rischio della radicalizzazione e semplificazione rispetto alla considerazione, ad esempio, dell’Islam, cosa può provocare in bambini che quotidianamente si trovano a condividere il banco con compagni di religione diversa, con ragazzine che portano il velo? Che a loro volta possono trovarsi a combattere con sentimenti tumultuosi, magari anche con la paura di essere malvisti. Le cronache hanno già riportato del caso, in una scuola superiore, delle ragazze musulmane che sono uscite dall’aula per non fare il minuto di silenzio per le vittime di Parigi. Una scelta provocante e non scontata.
Insomma, il mondo della scuola è senza dubbio crocevia di contraddizioni, raccoglie le tensioni che si vivono “fuori”, venendosi a determinare situazioni anche molto difficili. Eppure, proprio le aule scolastiche hanno al loro interno le potenzialità per trasformare questa miscela esplosiva in risorsa per crescere. E il ruolo degli adulti, dei docenti in particolare, diventa decisivo. Proprio la scuola può diventare, infatti, il luogo nel quale affrontare le paure, “tirarle fuori” e provare a maneggiarle, da una parte conquistando conoscenze – che sono sempre un buon antidoto – e dall’altra sperimentando atteggiamenti di confronto e condivisione che permettono di superare le chiusure.
Discutere in classe – con le gradualità conseguenti al rispetto delle diverse età – approfondire, cercare di capire anche quello che sembra incomprensibile, lasciandosi “provocare” dalle opinioni diverse: è un lavoro prezioso, che va guidato da insegnanti capaci di fare il proprio mestiere. In gioco non ci sono voti più o meno belli, ma la possibilità di costruire e ricostruire un tessuto di relazioni autentiche, capace di rendere la nostra società – non è un’ambizione impossibile – davvero più umana.
Alberto Campoleoni