Non manca molto all’inizio dell’anno scolastico e si moltiplicano proteste e preoccupazioni sulla “mobilità” dei docenti. Grande imputato, l’ormai famoso “algoritmo” del Ministero che regola l’assegnazione delle sedi di servizio nelle diverse parti d’Italia.
“Algoritmo”: viene da pensare ad un calcolo infallibile, una procedura matematica che non può avere falle. Sembra invece che qualche errore ci sia stato, almeno a sentire i sindacati, che parlano addirittura di “evidenti errori” nel sistema che ha gestito le operazioni di trasferimento. Il Ministero invece difende il proprio operato e nega che siano stati riscontrati errori.
Cosa sta succedendo? Un interessante studio di Tuttoscuola aiuta a comprendere meccanismi e ragioni della mobilità degli insegnanti, compreso quel fenomeno della “deportazione” denunciato con enfasi dalla categoria, per cui in tanti sono costretti a lasciare la propria regione di appartenenza per approdare ad altre, in particolare dal Sud al Nord. “L’algoritmo – spiega Tuttoscuola – ha fatto emergere più chiaramente un fenomeno sociale, sotterraneo ma non troppo, che sta caratterizzando da anni la nostra scuola”. E cioè lo squilibrio esistente tra domanda e offerta sul territorio nazionale, il fatto per cui – detta in estrema sintesi – gli studenti abbondano al Nord e gli insegnanti al Sud, per cui la “migrazione” di questi ultimi è inevitabile.
Tuttoscuola spiega, con corredo di dati elaborati sulla base di quelli del Ministero, che ci sono “fenomeni demografici e sociali che hanno spostato negli anni il baricentro della scuola italiana, mettendola su un piano inclinato: più studenti al centro-nord spingono un gran numero di docenti, concentrati nel meridione, verso nord. E di fronte a queste tendenze strutturali non c’è algoritmo che tenga: nessuna formula matematica potrebbe creare tante cattedre al sud da occupare la sovrabbondante offerta di lavoro che lì si manifesta”. Per questo, aggiungono gli esperti, “siamo di fronte a una vera e propria emigrazione di docenti meridionali verso il nord, migranti intellettuali sbarcati in molti casi da atenei del sud rincorrendo il miraggio di una cattedra che non c’è per tutti, almeno in quelle aree del paese”. Come negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso si migrava verso le fabbriche, ora si migra “verso le cattedre”.
Sempre i dati del periodico di settore mostrano come si tratti di un fenomeno ben prevedibile e in atto da tempo, conseguente ai flussi demografici. Due numeri su tutti, tra quelli offerti dal periodico, sono illuminanti: “Con riferimento al primo ciclo di istruzione, solo il 37% degli studenti italiani risiede al sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre ben il 78% dei docenti coinvolti in questa tornata di trasferimenti è nato nel meridione”.
A questo punto si può capire che, algoritmo o no, e fatte salve le correzioni da apportare ad eventuali errori, mobilità e “deportazioni” si muovono in un orizzonte ben più complesso delle formule matematiche. E per superare una situazione difficile occorrono politiche di sistema ampie e a lungo termine. Rilanciare le scuole del Sud, suggerisce ancora Tuttoscuola, tenerle aperte al pomeriggio, incentivare il tempo pieno, puntare al recupero della dispersione e dei “gap” della scuola meridionale rilevati anche nei test Invalsi e Pisa. Possono essere strade percorribili, a patto di investimenti importanti.
Alberto Campoleoni