Corriamo velocemente verso la prima campanella. E’ questione di giorni e poi le aule scolastiche, svuotate dai mesi estivi, riprenderanno la consueta vitalità e il meccanismo della scuola – in verità non si è mai interrotto, nella sua complessità – tornerà a funzionare a pieno regime.
L’ultimo allarme riguarda la “supplentite”, che anche quest’anno si manifesterà negli istituti italiani. Secondo le stime dei sindacati saranno oltre 100mila i supplenti che arriveranno in cattedra, ripetendo l’esperienza dello scorso anno. I motivi? Tanti: dalle bocciature da record al concorsone, ai distacchi, al problema delle classi di concorso esaurite. Poi ci sono le assegnazioni provvisorie e i divari tra organico di fatto e organico di diritto. Insomma, su 750mila professori totali, una buona parte sarà fatta da supplenti. Dati provvisori, certo, ma l’allarme dei sindacati è forte e, come accennato all’inizio, la prima campanella imminente. C’è chi invoca un “organico stabile” per rispondere alle esigenze delle scuole. Chi critica la gestione dei concorsi (secondo Tuttoscuola le procedure sono ampiamente in ritardo: solo il 12,5% sarebbe stato completato). E chi immagina anche i “vuoti” procurati da malattie e aspettative dell’ultimo minuto.
Intanto un’altra querelle si agita tra cattedre e banchi – ancora vuoti – delle scuole superiori e riguarda le “difficoltà” del Liceo classico, che per alcuni è a rischio snaturamento, con conseguente grave perdita per la cultura dei giovani e del Paese. Intendiamoci, il tema non è nuovo. E a più riprese torna il dibattito sull’utilità degli studi classici. Recentemente però si è anche costituita una “Task force per il classico” – un gruppo di professori di vari istituti pubblici italiani – che ha inviato una lettera-appello al presidente della Repubblica, al ministro dell’Istruzione e al direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’Autonomia scolastica. “Nostra opinione – affermano i sottoscrittori – è che la centralità dello studio delle lingue e delle culture classiche in uno o più indirizzi di studi superiori, coniugata con una salda preparazione in ambito scientifico, costituisca un’eccellenza da preservare che rende un unicum il nostro Paese nell’intero contesto mondiale”.
Nel mirino, in particolare, la traduzione dal greco e dal latino, forse “odiatissima” da tanti studenti ma, come afferma uno studioso del calibro di Luca Cavalli Sforza, rappresenta “l’attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto”. Per affrontarla, si legge ancora nella lettera della Task force (ma un termine in inglese sarà adeguato alla pugna?) “occorre infatti attuare una serie di operazioni mentali che sono tipiche di ogni metodologia razionale; senza contare che i linguaggi di un gran numero di saperi – non solo umanistici e filosofici, ma sociali, tecnici, artistici e scientifici – sono ampiamente costruiti su termini di origine greca e latina. Forse è anzitutto per questo che i ragazzi in uscita dagli studi liceali classici conseguono i risultati migliori in ambito universitario”.
Effettivamente gli studi classici hanno grande tradizione in Italia e probabilmente costituiscono davvero – come hanno scritto commentatori autorevoli – un esperimento pedagogico “geniale” e per nulla in conflitto con la modernità. Vale la pena di riflettere, rivalutando non solo greco e latino, ma anche, ad esempio, la storia antica, che pure non naviga in acque tranquille.
Alberto Campoleoni