Scuola Ucsi di Assisi / Cooperare per la verità rimane impegno primario per il giornalista

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Come coniugare verità e responsabilità nel giornalismo contemporaneo? Questa domanda, che rappresenta sfida ed è alla base della deontologia professionale dei giornalisti, è il tema su cui si è aperta, ieri pomeriggio ad Assisi la Scuola di formazione “Giancarlo Zizola”, istituita dall’Ucsi (Unione cattolica della stampa italiana).

Diversi e significativi gli spunti emersi. Li abbiamo sintetizzati.

Prima ancora di chiedersi come coniugarli, è necessario interrogarsi sul loro senso.

Ricercare il vero vuol dire saper discernere e selezionare, confrontare e ricostruire, analizzare e far sintesi: in altre parole, significa acquisire quell’acume critico che, prendendo in prestito un’immagine evangelica, rende sale e luce per il mondo.

Nella società globale, interconnessa, in continua accelerazione, la questione della qualità della notizia è centrale.

La velocità delle comunicazioni e la concorrenza nell’offerta di notizie, da un lato, permettono ai fruitori di accedere a un maggior numero di fonti, dall’altro, rischiano di svilire il ruolo di intermediazione e orientamento culturale, proprio del giornalismo.

Non solo, la logica del profitto, necessaria per portare avanti i progetti editoriali, se assunta come unica guida, porta alle distorsioni delle fake news o del clickbaiting.

La situazione è drammatica: cooperare per la verità non sembra più l’obiettivo primario del giornalista o, comunque, il lettore o ascoltatore non percepisce più il giornalista come una bussola per scegliere consapevolmente.

Verità e responsabilità, o meglio, verità è responsabilità: un accento può illuminare il compito di chi opera nel campo delle comunicazioni.

Dire la verità presuppone che vi sia un destinatario, altrimenti, la notizia rimane parola al vento; allo stesso modo, essere responsabili implica qualcuno a cui rispondere.

Il disorientamento che si rileva, forse, può essere causato non dalla mancanza di risposte, bensì dalla perdita della curiosità che spinge a porre le domande giuste.

In quest’ottica, il giornalista nel mondo di oggi deve farsi carico di una responsabilità ulteriore, quella di suscitare gli interrogativi, svegliando dal torpore intellettuale una società che, dopo aver perso i punti di riferimento, non ha avuto il coraggio di trovarne altri.

Se, tuttavia, la diagnosi è impietosa, la prognosi non è infausta: da giovane che si approccia alla professione e, prima ancora, all’ideale giornalistico, credo che la vera terapia sia ridare dignità alla parola.

E se vi è una parola che ci qualifica come persone, esseri relazionali e comunicatori, vi è anche, e soprattutto, la Parola incarnata nella storia umana: sia l’una che l’altra sono prospettive complementari del valore che siamo chiamati a custodire.

L’augurio è che questo cammino di conversione, autenticamente laico, al servizio di un popolo che ha diritto a un’informazione vera e responsabile, ci possa condurre non solo a una più profonda consapevolezza della nostra identità di “cronisti della storia” – come ha affermato Papa Francesco nel Discorso all’Ucsi –, ma soprattutto alla coscienza del ruolo stabilizzante ed eversivo, costruttivo e decostruttivo, ordinante e problematizzante, che ci è affidato.

Andrea Miccichè

(dalla Scuola Ucsi di Assisi)

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