Gioacchino Pennisi è forse il più importante esponente della famiglia Pennisi di cui si è precedentemente parlato, indi per cui, la nostra rubrica sui siciliani emigrati in Argentina non può che arricchirsi con la storia della sua vita. Ancora una volta, il tòpos di riferimento è Santa Maria La Scala. Luogo gravido di storia, ma soprattutto di risorse e fonti di sostentamento primarie, tra le quali l’attività della pesca e tutto ciò che le concerne. Com’è tipico nella tradizione sicula in generale – ed in quella scalota in particolare – la storia di Gioacchino vede l’unione di due importanti linee di sangue, innestando due tra le più grandi famiglie del nostro borgo: i Pennisi ed i Greco. Sarà forse per questo che oggi, a Santa Maria La Scala, si chiamano un po’ tutti così? Forse. Ma questo è solo uno degli aspetti affascinanti della storia di Gioacchino.
Siciliani in Argentina / Le origini di Gioacchino Pennisi
Gioacchino Pennisi nacque il 30 agosto del 1930 a Santa Maria La Scala. Figlio di Rosario Pennisi e Lucia Greco, unione dalla quale nacquero in totale sette figli. Di cui, due emigrarono in Argentina, ed uno in Australia; gli altri rimasero in Italia. Perlopiù analfabeta, arrivò in Argentina il 1° aprile del 1948 con la nave Tucumàn. Sposò Yolanda Greco, anche lei di origini scalote. Dal matrimonio nacquero: Lucìa, Daniel, Alejandro, Roberto e Analìa. Durante la sua vita si disimpegnò come pescatore, industriale e commerciante di acciughe salate, conserve di pesce e frutti di mare.
Siciliani in Argentina / Le ragioni dell’emigrazione di Gioacchino Pennisi
“Andavo alla scuola di primo grado. Ritornavo da scuola e andavo ad aiutare mio padre, a lavorare. Se lavoravamo poco facevamo otto ore, sennò erano dieci. E se non ci arrivavamo con il cibo, lo misuravamo per arrivarci. La nostra era una famiglia di pescatori. Mio nonno era pescatore, mio padre era pescatore ed io… come il più grande di sette fratelli e sorelle, ho dovuto emigrare perché non si poteva fare molto con quello che guadagnava mio padre. Per questo sono partito per l’Argentina. A quel tempo l’Argentina ci aveva accolti a braccia aperte; eravamo lì per lavorare e non per disturbare…” – ha esordito Gioacchino Pennisi nel documentario “Italianos en el puerto“, prodotto dal figlio Roberto.
Gioacchino era, dunque, il più grande tra sette fratelli. Quando frequentava la scuola elementare, in Europa scoppiò la guerra. Le lezioni furono sospese e non fu in grado di continuare gli studi. Già da piccolo accompagnava il padre a pescare, come tanti altri ragazzini dell’epoca, cercando di contribuire al sostentamento della famiglia. Durante la guerra fu testimone dell’occupazione tedesca del suo paese natale. Finita la guerra, a causa delle condizioni precarie di vita, decise di emigrare con la speranza di trovare un futuro migliore, lontano dalla distruzione e dalla povertà che si era lasciato dietro il secondo conflitto mondiale.
Fu così che l’8 marzo del 1948 partì in treno verso Palermo per arrivare, a bordo di una motonave, a Napoli. Nuovamente in treno, si diresse verso Genova, dove giunse tre giorni dopo. Con lui, quel giorno, si imbarcarono sulla nave “Tucumàn” altre nove persone, provenienti tutte da Santa Maria La Scala e dirette verso la medesima meta: Mar del Plata. Il 1° aprile del 1948 arrivarono a Buenos Aires: Giuseppe Greco con la moglie Maria Pennisi e uno dei figli. Camilo Greco e sua sorella Lucia. Salvatore Greco e una coppia di coniugi Grasso.
Siciliani in Argentina / Curiosità sulla partenza di Gioacchino Pennisi
“Mio fratello Gioacchino arrivò in Argentina a sedici anni. Immaginate quanto poteva essere piccolo quando aiutava mio padre lì in Italia. Quando vivevamo circondati dal mare, a Santa Maria La Scala, mia madre sentiva da dentro casa il rumore dei remi che affondavano nel mare. Apriva la finestra e cominciava a chiamarlo: ‘Gioacchino, Gioacchino!’ per vedere se era lui” – raccontava la sorella, Lucia Pennisi. E ancora, “Mia mamma pensava sempre a lui, parlava sempre di lui.
Mio fratello quello che guadagnava in Argentina lo mandava a noi. Era tutto triste, perché quando a lasciare la casa è un figlio, un fratello, tutto doveva essere triste” – ha continuato. E le preoccupazioni della madre di Gioacchino, non rimasero soltanto in Italia, ma emigrarono così come emigrò il figlio. “Prima che partissi per l’Argentina, la mamma di Gioacchino mi disse: ‘mi raccomando, prendetevi cura di mio figlio, pensate che è lontano da sua madre” – ha confidato la cugina, Maria Pennisi.
Siciliani in Argentina / Gioacchino Pennisi: la sua prima attività lavorativa
“Ho cominciato a lavorare in mare da pescatore. Non ero proprietario, non ero capitano. Ero un pescatore. Poi, dopo, ho cominciato ad aprire gli occhi per capire dove si poteva lavorare meglio” – ha spiegato lo stesso Gioacchino. Con un atteggiamento che ben presto avrebbe segnato il suo percorso, già il primo giorno in cui si trovò a Mar del Plata, si imbarcò a bordo della lancia “Fratelli Uniti” che aveva un equipaggio di sei fratelli, tutti Pennisi. Provenienti tutti da Santa Maria La Scala, si trattava di: Rosario, Salvatore, Sebastiano, Camilo, Giuseppe e Giovanni.
Nel 1952 formò una società con Gaetano Cappuccio (originario di Siracusa) per abilitare un salatoio. Questo, arrivò a produrre 80.000 kg di acciughe all’anno, destinati all’approvvigionamento del mercato interno di Buenos Aires. “Lui ha saputo dedicarsi a quello che più gli piaceva, che era la parte della pesca. Ha fatto una società e poi gli è venuta in mente l’idea di una fabbrica. Diceva sempre: ‘perché gli altri possono ed io no?” – ha rivelato la figlia, Lucia Pennisi.
Siciliani in Argentina / Il matrimonio con Yolanda Greco
“Un giorno ero con Gioacchino e mi disse: ‘La sai una cosa?…ho già una moglie’. Quindi gli risposi: ‘mi hai battuto sul tempo, adesso devo trovarmi una ragazza anche io!’ e lui continuò: ‘si, ma il padre di lei è mezzo arrabbiato, non vuole’ ” ha raccontato con fare nostalgico un amico di Gioacchino, Venerando Ignoto. Infatti, Yolanda Greco e Gioacchino erano cugini di primo grado. Per questo, il padre della giovane era del tutto contrario a questa unione. “Lui piangeva, piangeva e piangeva. Io gli dicevo: ‘non piangere Gioacchino, se la vuoi prenditela e scappate, tutti e due. Quando due si vogliono, il terzo non passa’” – ha suggerito Maria Pennisi, la cugina.
Nel 1956 sposò Yolanda Greco, con la quale ebbe cinque figli. “Mia moglie è stata prima di tutto una buona compagna, ha dato la vita ai miei cinque figli, ma non solo. Lei proveniva da una famiglia che si occupava di salatoi e mia moglie sapeva tutto, molto e più di me. Non era solo sapere, perché di imparare di può imparare. Lei c’era proprio nata” – ha proferito Gioacchino. Questa donna proveniva da una famiglia che si occupava della salagione di acciughe e la cui partecipazione sarebbe risultata fondamentale non soltanto nella vita familiare, ma anche nella continuità dei progetti imprenditoriali di Gioacchino. In quegli anni, nel porto della città, la condizione delle donne dentro i salatoi – nonostante la crescente prole – fu una presenza costante. Un sostegno primordiale per il lavoro degli uomini.
Siciliani in Argentina / Gioacchino Pennisi: la fabbrica
Nel 1957, poiché i Cappuccio rientrarono in Italia, Gioacchino comprò la parte societaria di Gaetano. Anni dopo, dovuto al fatto che la salagione delle acciughe è un’occupazione stagionale, pensò di ingrandire la sua impresa: costruì una fabbrica per l’elaborazione di conserve di pesce. Per fare questo, fu necessario un equipaggiamento complesso che richiese un investimento in denaro ed uno sforzo enorme. Fu così che, nel 1972, cominciò con la produzione di conserve di alimenti di origine marinara. Attività che da allora non avrebbe mai più abbandonato. Gioacchino, infatti, fu l’unico degli emigrati che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, riuscì a concretizzare la sfida industriale nella produzione di conserve.
“La mia famiglia si può definire come una famiglia combattente, una famiglia di lavoratori ed imprenditori” – asserì anni più tardi Lucia Pennisi. “All’inizio la fabbrica contava al massimo dieci persone, alcuni italiani, altri di qua vicino. Si era creato davvero un bell’ambiente; questo era raro per le grandi imprese. Questa gente è stata importante per il marchio “Pennisi” – ha continuato. Attualmente la fabbrica è in pieno sviluppo e si trova nella condizione di produrre 150.000 di lattine di conserve al giorno. Nell’epoca del suo apogeo, questo settore industriale disponeva di circa 40 stabilimenti. Oggi soltanto sei continuano la loro attività.
Siciliani in Argentina / Il marchio “Pennisi” e le esportazioni all’estero
Nel 1987, Gioacchino acquistò a degli imprenditori spagnoli il pacchetto azionario di uno stabilimento per la salagione e maturazione delle acciughe. Da quel momento, l’impresa si diede all’esportazione. Ad avere un’importanza capitale in tutto ciò, furono i cinque figli di Gioacchino. I quali, in un modo o nell’altro e a seconda dell’età, si occuparono tutti della fabbrica. Inoltre, per come si erano proposti Yolanda e il marito, tutti e cinque gli eredi hanno conosciuto il paese di origine della famiglia, hanno imparato il dialetto, da sempre ascoltato in casa e che gli ha permesso di comunicare con la comunità scalota italiana.
Al giorno d’oggi, la superfice coperta dagli stabilimenti è di 9.500 metri quadri totali, corredati da camere frigorifere e da tutti i macchinari necessari alla confezionatura meccanica di migliaia di tonnellate di materia prima, occupando 300 persone durante tutto l’anno. I milioni di unità elaborate all’anno sono confezionate con diverse marche per fornire tanto il mercato interno quanto quello dell’esportazione.
Siciliani in Argentina / i soggiorni della famiglia Pennisi in patria ed il riconoscimento della loro grandezza
Quando ormai Gioacchino non doveva più occuparsi di aprire e chiudere le porte della fabbrica, ha potuto raccogliere i frutti dei suoi tanti anni di semina. E lo ha fatto ritornando ogni anno ininterrottamente al suo paese natale per oltre 15 stagioni. Inoltre, è interessante riportare che la RAI, in un programma mandato in onda per presentare alcuni italiani stabiliti in diverse parti del mondo, ha scelto Gioacchino Pennisi come referente dell'”emigrato di successo”. E lo è stato davvero: Acireale e tutta la Sicilia lo ricorderanno.
Grazia Patanè