Salvatore Patanè, meglio conosciuto come Turi Patanè, si aggiunge alle storie di siciliani emigrati in Argentina fin qui raccontate. Parlare della vita di Turi ci permette di illustrare un nuovo scenario di questa grande emigrazione. Uno scenario radicato nell’acese e che vede come protagonista indiscusso uno dei borghi più belli della nostra città: Santa Maria La Scala. Molti degli emigrati acesi del dopoguerra erano “scaloti” e gran parte di questi, oltre che esportare oltreoceano il mestiere della pesca, portarono con sé valori e tradizioni nostrane ancora vive, ora in Australia, ora in Argentina.
Siciliani in Argentina / Santa Maria La Scala, un paese “verghiano”
Santa Maria La Scala è una frazione del comune di Acireale, in provincia di Catania. È un piccolo borgo di mare che si trova sulla costa ionica ai piedi della Timpa, una grande falesia riccamente stratificata e riconosciuta come riserva naturale. Gli abitanti sono localmente conosciuti come Scaloti. Si tratta di una piccola realtà in cui sembra che il tempo si sia fermato alla Sicilia verghiana, appena sfiorata dall’aria della modernità.
Pochi abitanti, di generazione in generazione si assiste alla successione degli stessi cognomi, specie nelle grandi famiglie. Una piccola chiesetta del XVII secolo dedicata a Santa Maria della Scala. Il lungomare immerso nella natura, in armonia con il colore delle facciate delle case. Un vecchio mulino posto a metà tra il blu del mare ed il verde della Timpa. Due piccole piazze, pochi ristoranti di pesce e tante famiglie, forse tutte, che tirano avanti con il mestiere della pesca.
Siciliani in Argentina / Santa Maria La Scala, culla degli emigrati acesi
Il porticciolo, infatti, accoglie diverse imbarcazioni di piccola-media grandezza. È evidente come l’economia scalota sia fondata quasi esclusivamente sulla pesca. Tanto ai tempi di Turi Patanè quanto ai giorni nostri. Riportare queste poche informazioni riguardo a questo piccolo borgo di mare risulta di fondamentale importanza.
Non solo perché Turi e la sua famiglia vissero a Santa Maria La Scala, ma soprattutto perché furono numerosissime le famiglie scalote che decisero di intraprendere lo stesso viaggio della famiglia Patanè verso l’Argentina. È il caso di Sebastiano Greco, Maria e Lucia Pennisi, le famiglie scalote dei “Carretti”, “Celestino”, “Patruzzi”, “Pacchiedda” e di Gioacchino Pennisi. Sono nomi, questi, ancora in vita. Tanto in Argentina, quanto a Santa Maria La Scala. A dimostrazione di ciò, facciamo presente che l’autrice dell’articolo è parente di Turi Patanè. Per questo, capiamo che tra la Sicilia e l’Argentina corrono delle linee di sangue che nemmeno lo scorrere del tempo è riuscito a spezzare.
Siciliani in Argentina / Le origini di Turi Patanè
Turi Patanè nacque a Santa Maria La Scala il 31 luglio del 1936. Era figlio di Giovanni Patanè e Rosa Pennisi, dai quali nacquero altri figli, tutti emigrati in Argentina. Studiò fino alla quinta elementare e arrivò in Argentina nel 1950 con la nave Florencia. Durante la sua vita ha svolto lavori nell’ambito marittimo come il pescatore e l’armatore. Ma si è anche dedicato all’attività gastronomica ed imprenditoriale, divenendo proprietario di ristoranti e stabilimenti balneari. Ha sposato Graciana Maria Cientofante che gli ha dato due figli, Maria Rosa e Juan Carlos Patanè.
Cominciò a pescare all’età di sette anni sull’imbarcazione di Gioacchino Milano, a Santa Maria La Scala, borgo da cui emigrarono oltre 200 famiglie verso Mar del Plata. La famiglia Patanè viveva di ciò che il mare le offriva e, se non si otteneva pesce a sufficienza, il piccolo Turi si imbarcava in pescherecci che si recavano verso le Isole Eolie, al nord della Sicilia. Appena finita la guerra i suoi genitori decisero di emigrare in Argentina, dove si erano già stabiliti i fratelli della madre: Santo e Sara Pennisi. Invece, tre dei fratelli di suo padre emigrarono in Australia, tra Sydney e Melbourne.
Siciliani in Argentina / L’arrivo di Turi Patanè a Mar del Plata
Era il 1950 e all’età di quattordici anni Turi arrivò insieme alla madre e i suoi fratelli. Due anni prima era arrivato suo padre, Giovanni. Durante i suoi primi giorni in territorio argentino notò che molte delle voci che correvano a Santa Maria La Scala erano vere. “Le case avevano le ruote e le scarpe erano di tela” – riassumeva grosso modo chi era rientrato in Sicilia dall’Argentina. In realtà, tali case erano le “casillas”, dei casotti che avevano le ruote per essere spostati all’occorrenza da una parte del porto all’altra. E le scarpe di tela non erano altro che le “alpargatas”, delle calzature popolari all’epoca.
La prima occupazione di Turi consisteva nell’aiutare i pescherecci a scaricare il pescato, ma quello che aveva sempre desiderato era di imbarcarsi a sua volta e di pescare lui stesso in alto mare. Così, appena compiuti i sedici anni si imbarcò sulla nave da pesca La Josefina, che apparteneva ai fratelli Greco, anch’essi originari di Santa Maria La Scala. Su quell’imbarcazione ha potuto perfezionare le abilità peschiere già acquisite in Sicilia.
Siciliani in Argentina / Turi Patanè, capitano di diverse imbarcazioni
Ottenuto il diploma di “Patron de Pesca” nel 1962, si disimpegnò come capitano di diverse imbarcazioni fino al 1971. Fece costruire le sue navi nei cantieri Contessi e la prima a salpare in mare fu il San José. Le qualità personali e professionali di Turi lo rendevano appetibile per le diverse imprese e per questo era molto richiesto.
Questo perché un bravo capitano rendeva un’imbarcazione più produttiva rispetto alle altre, facendo la differenza. Accanto a lui, giovani pescatori come Giovanni Taranto, Gaetano di Leva, Lito Malvica e Giacomino Di Costanzo impararono i segreti del mestiere, fino a diventare capitani eccezionali. Nel 1979 fece costruire il Cabo de Hornos, peschereccio che vide la sua piena partecipazione fino al 1955, quando si ritirò dal mare per dedicarsi a lavori in terra ferma.
Siciliani in Argentina / La famiglia Patanè tra l’Australia e l’Argentina
Tra i fratelli di Turi, Mario decise di stabilirsi in Australia nel 1973, dove svolse il mestiere di pescatore imparato in Italia e continuato in Argentina. Da allora proseguì nel settore fino al momento del suo pensionamento, nella zona di Sidney. Alcuni suoi cugini australiani si dedicarono alla pesca, altri alla commercializzazione di pesce. Tonino Patanè si trasferì invece a Melbourne, dove lavorò come manager di una importante catena di supermercati. Per ultimo, il fratello Rosario, che a Mar del Plata faceva il pescatore, perse la vita in mare nel 1987, durante una sfortunata manovra nella pesca della tonnina.
Siciliani in Argentina / Il carattere di Turi e l’attività del figlio Juan Carlos
Chi ricorda Turi, lo definisce come un uomo dallo spirito giovane, di buon umore. Un appassionato della pesca e della caccia sportiva ed i cui aneddoti, per come li narrava, erano degni dello schermo cinematografico. Il figlio Juan Carlos ha messo a buon profitto le conoscenze ereditate dl padre per cominciare nelle attività accessorie della pesca. Ha creato imprese di scarico di navi ed una flotta propria di camion.
Ha diversificato gli affari con imprese nel settore della gastronomia, un complesso sportivo e stabilimenti balneari nella zona di Punta Mogotes, a Mar del Plata. Inoltre, è socio delle imprese proprietarie delle navi di altura Simbad e Ribazon Ines, dedicate alla pesca del merluzzo. Juan Carlos ha sempre contato sull’aiuto del padre, che lo ha spinto e lo spinge nei diversi affari che intraprende. Turi diceva sempre “Iu nascii nudu e ora sugnu vistutu” (sono nato nudo e adesso sono vestito). Una metafora per ricordare che non aveva niente e pian piano, con i sacrifici, ha costruito la sua vita. E questa è una mentalità tanto scalota quanto argentina.
Grazia Patanè