Sicurezza / All’Università della Calabria un laboratorio sull’intelligence per studiare il fondamentalismo e il terrorismo

0
86

L’intelligence come scienza per studiare il fondamentalismo e il terrorismo. L’idea progettuale, che sarà realizzata all’Università della Calabria, nasce all’interno del laboratorio sull’intelligence promosso e diretto da Mario Caligiuri, docente di pedagogia della comunicazione all’Ateneo di Cosenza, e vuole coinvolgere esperti, professionisti e studenti nell’analisi di un tema particolarmente attuale.
Uno spazio di ricerca. Si chiama “Osservatorio sul fondamentalismo e il terrorismo” il nuovo polo del laboratorio, “che nel corso degli anni – spiega Caligiuri – ha proposto master universitari, e che da settembre vedrà partire il primo corso magistrale in Italia di intelligence”. Una proposta “che ha lo scopo di far diventare l’intelligence materia di studio negli atenei italiani così come accade in altri Paesi del mondo”. Si tratta diun percorso di approfondimento scientifico che pone al centro l’università per fare in modo che questioni come l’immigrazione non siano solo temi di scontro politico, ma siano verificabili”.
‘Ndrangheta, intelligence economica e appunto fondamentalismo, i tre laboratori che convivono nel percorso portato avanti all’Unical. “Per questo vogliamo affrontare il tema in maniera scientifica e non ideologica”, ribadisce Caligiuri.
Una delle attività dell’Osservatorio sarà legata al “controllo e al contrasto del rischio di radicalizzazione che spesso le persone che hanno una origine dai Paesi musulmani possono manifestare tra noi”, spiega Alberto Ventura, direttore del Laboratorio sul Mediterraneo islamico dell’Università della Calabria e impegnato nell’Osservatorio. A tal fine, è stato allestito un comitato scientifico internazionale, con l’obiettivo – riprende Caligiuri – di “interpretare correttamente il presente e cercare di anticipare le tendenze future”. A fargli eco il giornalista e scrittore Stefano Piazza, coordinatore del laboratorio su fondamentalismo e terrorismo: “È necessario studiare il fenomeno del terrorismo non a se stante ma a partire da quali sono le radici che lo formano. Oggi il terrorismo non è solo dire che c’è stato un attentato, non basta fare un articolo, bisogna capire da dove proviene”.
Senza luoghi comuni. “Quella del fondamentalismo è una questione che va affrontata senza pregiudizi da un lato ma con realismo dall’altro tenendo conto che nei prossimi anni l’immigrazione, soprattutto da parte di cittadini di religione islamica, è destinata inevitabilmente ad aumentare in Europa e in Italia”. Per Caligiuri va fatta tabula rasa di ogni preconcetto per osservare al meglio quanto accade in Italia e in Europa. “Il fenomeno va visto senza luoghi comuni, ben consapevoli che le prime vittime del fondamentalismo islamico si verificano nei Paesi d’origine”.
Vittime di sistemi politici dai quali “chi fugge lo fa perchè viene trattato male”, rileva Piazza. Vengono per vari motivi, quello principale è la disperazione causata dai regimi islamici, dove c’è una corruzione spaventosa. Quando arrivano, vengono lasciati nei centri per rifugiati dove spesso agiscono i predicatori del male, i quali li convincono che per le loro condizioni la colpa è dell’Occidente”.
Una evidenza per la quale Piazza cita l’ultimo rapporto annuale tedesco dell’Ufficio federale della protezione della Costituzione del luglio scorso. Numeri alla mano, Piazza evidenzia come “la più grande preoccupazione delle autorità tedesche è l’incessante attività dei salafiti e dei loro predicatori nei centri di accoglienza destinati ai migranti”. Dati e presenze di gruppi variano di Paese in Paese, e, a proposito del nascente Osservatorio dell’Unical, Piazza spiega che “il fenomeno dell’islamismo radicale in Europa ha varie forme”. Cita, ancora a proposito della Germania, “l’islamismo di matrice turca, che è pericolosissimo perché contiene una origine semita”. Un tipo di fondamentalismo “che insegna ai cittadini turchi a non integrarsi e a rimanere turchi in Europa”. Cita i Tablik, “che sono molto silenti ma si stanno diffondendo a macchia d’olio, anche in Calabria”.
Accoglienza e integrazione. “All’Unical abbiamo pensato che un buon rapporto con le comunità islamiche possa essere un ottimo deterrente per evitare fenomeni di radicalizzazione”, afferma Ventura. Buone pratiche sul campo e sul territorio. A volte, è anche una questione di termini. “Preferirei parlare, più che di integrazione, di assimilazione per cui chi arriva qui è un nuovo italiano pur mantenendo le proprie tradizioni, il proprio culto”, aggiunge Piazza. A fargli eco Ventura: “Ci sono posizioni diverse tra la situazione sociale del nostro Paese e i principi della religione islamica, ma nulla di insuperabile se si ragiona con l’obiettivo di associazione. Più che integrazione, che è una parola abusata, bisogna parlare di associazione, finalizzata a un bene comune, quello di una convivenza e di uno scambio reciproco senza scavalcare le differenze”.

Fabio Mandato

 

Print Friendly, PDF & Email