Sinodo dei Vescovi: Non solo per gli addetti

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Dal 7 al 28 ottobre 2012, si terrà in Vaticano la XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Sotto la guida di Benedetto XVI, presidente del Sinodo dei vescovi, rappresentanti dell’episcopato del mondo intero in un ambiente di preghiera, di dialogo e di fraterna comunione, rifletteranno sulla trasmissione della fede cristiana, ha detto mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo.

Il prossimo evento riguarda solo i vescovi? Certamente essi sono i primi interessati, a motivo della missione che svolgono, ma il tema a motivo della sua portata riguarda tutto il popolo di Dio. Nessuno, infatti, può rimanere indifferente al fatto che in alcune regioni della terra la fede vada estinguendosi o che il discorso su Dio sia considerato non significativo per l’uomo contemporaneo. Inoltre, la prossima assemblea sinodale avverrà in un momento particolarmente significativo per la Chiesa cattolica: il cinquantesimo anno dall’apertura del Concilio Vaticano II e il ventesimo dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica, che è uno dei frutti più belli della teologia del Concilio.

Ora, proprio i padri conciliari sentirono forte il desiderio di rinnovare la vita di tutti i cristiani – pastori e fedeli – guidandoli a un’adesione sempre più personale a Cristo Gesù. E dalla contemplazione del volto di Cristo nasce il desiderio, prima che impegno, della nuova evangelizzazione. Questa dinamica la riaffermò con chiarezza il beato Giovanni Paolo II al termine del grande Giubileo, altro evento significativo del periodo postconciliare. Se la preparazione aveva avuto lo scopo di mantenere lo sguardo fisso su Gesù, se il Giubileo era stato una grande celebrazione di Cristo Salvatore, gli anni a venire avrebbero dovuto costituire un grande impegno, inteso come un continuo ripartire dal volto di Cristo. Un ripartire per il miglioramento di sé, secondo la meta alta e ordinaria insieme della santità, un ripartire per annunciare al mondo il Vangelo di Cristo. Un impegno, questo, che riguarda tutti coloro che compongono, nella loro diversità e complementarietà, il Corpo mistico di Cristo.

Su questo c’è da fare un passo in più per recuperare la prospettiva globale del Concilio; in questi cinquant’anni si è giustamente insistito che la Chiesa ha inteso rivalutare la condizione battesimale dei fedeli al fine di renderli partecipi della missione evangelizzatrice. Questo è vero, ma non è tutto. Prima ancora, il Concilio ha voluto mostrare la bellezza della vita cristiana e la chiamata a partecipare alla vita stessa di Dio, come dono offerto a tutti.

Essere cristiani è anzitutto un dono, che porta con sé l’altissima vocazione alla filiazione divina: il Padre nel suo Figlio ci accoglie come figli e in questa intimità continuamente ci genera. Dimenticare l’orizzonte soprannaturale è un po’ come non considerare l’aria che respiriamo. Se ci si limita a pensare al ruolo dei laici nel popolo di Dio, a quello che possono o non possono fare, si può facilmente cadere nelle rivendicazioni di ruoli e posti. E, così, non di rado si oscilla tra una visione dove il fedele laico ha assunto ruoli del ministro (si pensi ad esempio alla predicazione) e una dove il laico è un semplice spettatore della vita della comunità cristiana.

L’impegno per la nuova evangelizzazione tocca l’intero popolo santo di Dio e la sua realizzazione può essere l’occasione per un armonico operare di pastori, religiosi e fedeli. Da dove partire? Non ci sono dubbi: dal grande incontro con Gesù, grazie al suo Spirito, voluto e donato dal Padre. “È un incontro nel quale ci sentiamo attratti, e che mentre ci attrae ci trasfigura, introducendosi in dimensioni nuove della nostra identità, facendoci partecipi della vita divina (cf. Pt 1,4)” (Instrumentum laboris del prossimo Sinodo, 19). Questo incontro, che è insieme unico e frequente, non lascia come prima, ma conduce alla conversione, ad avere la stessa mentalità di Cristo, che è venuto per servire, affinché tutti gli uomini conoscessero il Padre e avessero la vita eterna.

L’evangelizzatore è, dunque, un servo che mette se stesso nelle mani della Chiesa, affinché gli uomini incontrino Dio ed entrino a far parte della sua famiglia con la fede e i sacramenti. In questa prospettiva di grazia si vive l’armonia dei compiti e dei ruoli; ci si considera evangelicamente servi inutili, ma chiamati per grazia ad annunciare il Vangelo, secondo lo stile di Cristo. Sebbene egli sia il rivelatore pieno e definitivo di Dio, non ha fermato a sé gli uomini, ma, come una porta, li ha introdotti alla comunione con il Padre. Anche l’evangelizzatore sa di non dover attirare a sé gli uomini, di non dover impressionarli per i suoi mezzi o le doti personali, ma di condurli all’incontro con il Dio misericordioso. Propriamente parlando la missione evangelizzatrice resta opera dello Spirito Santo e consiste nell’offerta del Vangelo, l’unico a realizzare l’uomo nella sua storia.

Marco Doldi

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