46 chiese danneggiate, di cui 34 parrocchiali, e di queste 22 del tutto inagibili. È questo in breve il punto della situazione, a distanza di poco più d’un mese dal terremoto di S. Stefano, nel territorio della diocesi di Acireale. Ne abbiamo parlato con il vicario generale don Giovanni Mammino, da poco incontratosi col vescovo mons. Antonino Raspanti con cui ha esaminato i risultati degli ultimi sopralluoghi ed interventi.
L’elenco delle chiese parrocchiali inagibili è lungo: si va da Aci Bonaccorsi (S. Maria dell’Indirizzo) ad Aci Catena (Matrice, S. Lucia e Consolazione), da Aciplatani a Piano d’Api, da Lavinaio a S. Maria La Stella. Ma le situazioni più gravi sono sicuramente quelle di Pennisi, Fiandaca e Santa Venerina: nei primi due centri le chiese parrocchiali sono inagibili e pericolanti, in particolare quella di S. Maria del Carmelo a Pennisi, con il campanile che crollando ha squarciato il tetto della chiesa, con la canonica distrutta, il salone parrocchiale adiacente abbattuto dai Vigili del Fuoco perché pericolante, e la statua di S. Emidio – patrono del paese e protettore dai terremoti –, antistante la chiesa, caduta dal suo basamento la notte del sisma perdendo la testa; a Santa Venerina invece le chiese parrocchiali, sia del centro (S. Venera, Sacro Cuore e S. Maria del Carmelo a Bongiardo, quest’ultima appartenente alla diocesi di Catania), sia delle frazioni (Cosentini, Dagala, Maria Vergine), sono tutte inagibili tranne che a Linera e Monacella; l’unico locale disponibile per accogliere le comunità dei fedeli e celebrare la messa è un prefabbricato provvisorio a Bongiardo, dove domenica scorsa – pur in condizioni di estrema precarietà – è stata anche celebrata la festa del compatrono S. Sebastiano.
Nell’ufficio del vicario era pure presente don Carmelo Sciuto, responsabile dell’Ufficio Beni culturali della diocesi, da poco rientrato da Roma dove ha partecipato, presso la Cei (Conferenza Episcopale Italiana), insieme con il suo omologo della diocesi di Catania, ad un incontro del Comitato nazionale appositamente istituito per esaminare la situazione del sisma che ha riguardato le diocesi di Acireale e Catania. In quella sede, dice don Carmelo, è stato constatato che la diocesi di Catania ha subito danni in sei parrocchie (in particolare a Fleri e Pisano), per un totale di sei milioni di euro, mentre nella diocesi di Acireale i danni sono stati stimati in 21 milioni di euro. Il comitato della Cei è di tipo misto, a cavallo tra l’economato ed i beni culturali, ma la situazione è al momento attuale molto ingarbugliata e la fase della ricostruzione è tuttora nebulosa, perché la situazione non si è ancora fermata e bisogna quindi aspettare che si stabilizzi: il nostro non è un terremoto di tipo tettonico ma vulcanico, e le faglie sono ancora in movimento; si parla infatti di “sisma silente”, come ad Aciplatani dove le linee di frattura (per le strade, nei muri, negli edifici) non si sono evidenziate subito dopo la notte di S. Stefano ma qualche giorno dopo e continuano ancora ad allargarsi, e come nella zona di Pennisi e Fiandaca (lungo la linea, per l’appunto, della “faglia di Fiandaca”), dove ampie e profonde fenditure nel terreno continuano costantemente ad allargarsi. I danni nelle varie chiese colpite dal sisma non sono ovviamente uniformi, ma in qualche caso converrebbe eliminare i campanili, perché in alcune situazioni – per vari motivi – hanno creato danni alle chiese, come ad esempio a Monterosso, a Pennisi e ad Aciplatani.
Quali sono dunque, allo stato attuale, le prospettive e le situazioni risolvibili in tempi brevi, soprattutto dal punto di vista pastorale? Riprendiamo il discorso con don Giovanni Mammino, il quale ci prospetta un quadro particolareggiato:
- Pennisi: ripristinare il prima possibile il saloncino dell’oratorio parrocchiale di via Torretta, da utilizzare per le celebrazioni e le altre attività parrocchiali; nel frattempo sarà ingabbiato il campanile e si cercherà di recuperare le suppellettili rimaste all’interno della chiesa;
- Fiandaca: dare una prima sistemata alla chiesa per renderla fruibile;
- Cosentini: sbloccare la situazione magari facendo un prefabbricato in un vicino terreno della parrocchia;
- Santa Venerina: se si rimettono in sicurezza la facciata e gli stucchi all’interno del Sacro Cuore, si può rientrare in chiesa; si potrebbe così creare un centro comunale di aggregazione;
- Acicatena: le chiese più o meno ci sono (tranne la Consolazione); per S. Lucia c’è il problema del campanile pericolante, ma è stato messo in sicurezza e ci sono a disposizione altre chiese filiali.
Il problema grosso è dove non ci sono più chiese agibili e non ci sono altri locali disponibili, come a Santa Maria La Stella, un centro di seimila abitanti che non ha più una chiesa (c’è solo un saloncino).
Quali rischi si corrono, in queste condizioni? “I rischi – ci dice ancora don Giovanni – sono legati al fatto che le persone in queste condizioni tendono ad andarsene dai centri terremotati, anche per via dei problemi della viabilità e delle scuole chiuse. E poi le parrocchie stanno perdendo i fedeli (anche dove le chiese sono ancora agibili), sia per la messa domenicale, sia per i sacramenti (battesimi, funerali, ma anche matrimoni).
Adesso che si avvicina il periodo delle prime comunioni e cresime, si cercherà di ovviare alla situazione con delle cerimonie in piazza, a livello cittadino o interparrocchiale. In poche parole, si rischia la morte – civile, religiosa, pastorale – dei piccoli centri, perché nei piccoli centri la chiesa è tutto, è l’unico centro di aggregazione.” Egli lancia poi un appello per le famiglie che stanno chiedendo l’accesso al contributo per l’autonoma sistemazione: “I proprietari di case le mettano a disposizione a prezzi accessibili, senza maggiorazioni e senza approfittare della situazione.”
Infine don Giovanni ci ha anticipato che domenica 3 febbraio sarebbe stata celebrata in tutta la diocesi una giornata di preghiera e di solidarietà per le comunità terremotate.
Nino De Maria