L’atmosfera che si percepisce intorno a noi è un po’ statica. Dopo un periodo forte di crisi economica subita pesantemente dalle famiglie, la situazione appare più tranquilla. Ma non si vedono scatti in avanti. Sembra quasi che si stia attendendo qualcosa. Non ci si sente sicuri per il futuro. E lo stile di vita consumistico a cui eravamo abituati riscuote meno successo di prima.
Una recente panoramica Istat, “Noi Italia”, indica che nel 2015 sono cresciute le famiglie abbastanza soddisfatte della loro condizione economica e ora la quota complessiva dei soddisfatti tocca il 47.5%. Contemporaneamente l’11,6% rimane in stato di grave deprivazione. Sebbene la quota si sia ridotta, la povertà interessa molte persone con una diseguale distribuzione territoriale: il 19,9% risiede nel Mezzogiorno, mentre il 7,2% si trova nella restante parte della penisola.
Dentro questo clima dove le condizioni sono variegate anche gli atteggiamenti verso gli acquisti cambiano, perché sono vincolati alle possibilità effettive e si tende ad affidarsi di meno alle previsioni sul futuro.
Una ricerca dell’Osservatorio sui consumi dell’Università di Padova su “Crisi e famiglie italiane” ha sottolineato come le strategie di spesa definiscono i contorni di tre gruppi di nuclei familiari. Il primo lo hanno chiamato: il “cliente”. Questo compie scelte classiche e ha percepito meno degli altri la crisi, ha un reddito che gli permette scelte sulla qualità dei prodotti e dei servizi, sulla qualità delle relazioni con i negozianti, sulla garanzia di alcune marche. In questo gruppo si colloca il 16% del campione: c’è una perdita secca dato che nel 2011 comprendeva il 27% dei nuclei raggiunti dalle interviste. Seguendo le strategie di spesa si formano due ulteriori gruppi che vengono chiamati dai ricercatori il “saggio” e la “formica”: nel primo gruppo, che conta il 44% del campione ed è sostanzialmente stabile (nel 2011 ne contava il 42%), le scelte sono molto complesse, perché si punta a mantenere una qualità alta dei prodotti, riducendo però le quantità: qui si confrontano sistematicamente i prezzi e c’è una forte razionalizzazione della spesa per mantenere un adeguato livello di benessere. L’altro gruppo invece ha ridotto le spese, è focalizzato sui consumi dei bisogni primari. I nuclei ad esso appartenenti cercano sconti e offerte speciali e hanno rinunciato a marche e beni di qualità. Questo gruppo conta il restante 40% del campione, ed è cresciuto molto rispetto al 33% del 2011.
Questa ricerca ci dice che in Italia dopo la crisi la società dei consumi di massa non sembra esserci più, dato che la maggioranza, oltre il 70%, sta adottando strategie di razionalizzazione delle spese, inoltre avvisano i ricercatori che le scelte portano a una stratificazione sociale, che prima era meno forte, dove i tre gruppi che sono stati identificati tendono a non comunicare tra loro.
Insomma dietro l’atmosfera statica c’è qualcosa che sta cambiando e non sappiamo quali caratteristiche sociali assumerà.
Andrea Casavecchia