Facilmente periferia è associata alle idee di margine, di ritardo o di esclusione, però alla periferia sono intrecciate anche le prospettive di sviluppo di una città e di una comunità.
Certo, le condizioni di partenza non sono ottimali: sono carenti i servizi pubblici; il manto stradale è sconnesso e mancano i marciapiedi; la distanza dai luoghi di lavoro condiziona la qualità dei tempi di vita; mancano i parchi e le zone adibite al verde; parte dei quartieri sono privi di un’idea di piano regolatore, perché nascono da un abusivismo condonato; la presenza immatura di istituzioni e di società civile crea spazi per la criminalità. Le mancanze strutturali si combinano con il disagio sociale.
In periferia, però, c’è il futuro delle nostre città, perché lì confluisce la gran parte delle coppie giovani che decide di metter su famiglia; lì si stabiliscono i cittadini immigrati, come tempo fa si stabilivano i contadini espulsi dalle nostre campagne. Qui si sviluppano subculture che promuovono nuovi linguaggi nella contaminazione con i dialetti, tanto appassionante per Pierpaolo Pasolini, come si costituiscono nuclei di minoranze culturali, fondate dalle comunità di diverse etnie. Nelle periferie incontriamo giovani con livelli di istruzione medio o alto e anziani con livelli medi e bassi. Le energie sociali sono enormi e quando confluiscono nei medesimi punti la conflittualità rischia di emergere, se non sono socialmente accompagnate e integrate.
Tuttavia, proprio per la concomitanza di tanti fenomeni le periferie possono diventare poli di innovazione sociale. Questo implica innanzitutto una progettualità politica che coinvolga la cittadinanza e la renda partecipe di un cambiamento che va nella direzione di un miglioramento delle condizioni di vita dei residenti, già Edgar Morin nel suo “La via. Avvenire per l’umanità” avvisava che: “la moltiplicazione degli attori che agiscono nella città e nel quartiere complessifica la gestione del territorio, rendendo i limiti delle competenze più sfumati, la concertazione locale appare dunque come una necessità per amministrare in modo pacifico e coerente”.
Alcune azioni che vanno nella direzione di un coinvolgimento e convincimento per la rivalutazione delle periferie sono state assunte e possono diventare buone pratiche.
Un’idea per dare speranza alle periferie urbane è quella di promuovere micro imprese per rammendare le periferie a partire dall’adeguamento di scuole ed edifici malmessi. Le periferie diventerebbero anche occasione di creazione di nuovi mestieri per convertire i sistemi energetici o convertire alcuni luoghi abbandonati in centri di incontro poli funzionali. Un’esperienza simile è stata promossa da Renzo Piano per sostenere giovani architetti. Un’altra esperienza è quella di Milano dove si vorrebbe lanciare una piattaforma informatica con la quale i cittadini potranno presentare progetti innovativi su conciliazione vita-lavoro, aggregazione sociale, “digital divide”, iniziative di solidarietà e cooperazione e chiedere un finanziamento dell’iniziativa che in parte sarà coperta dal Comune. E poi, ancora, l’idea dei “musei in strada” di Roma con la quale vengono portate nelle periferie le riproduzioni di opere d’arte a grandezza naturale.
Esistono idee per rinnovare le periferie e renderle vivibili poli innovativi, quello che manca è metterle a sistema perché semplici germogli possano mettere radici.