Quando si parla di dialogo tra le religioni si pensa sempre alle grandi discussioni tra teologi oppure ai gesti del Papa che prega in una moschea o in una sinagoga, si pensa alle difficoltà e agli ostacoli che portano al mancato riconoscimento della libertà religiosa, che spesso molti cristiani subiscono.
C’è un’esperienza molto comune che ci può parlare di possibile dialogo: i matrimoni misti. Quando due sposi scommettono su una vita comune a partire dalle loro differenze di fede offrono un forte esempio di come sia possibile nella quotidianità superare nel dialogo la distanza della diversità senza rinunciare alla propria identità. Una ricerca, commissionata dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei sui matrimoni contratti tra cattolici e credenti in altre religioni o non credenti dichiarati, affronta uno spaccato quasi sconosciuto. Di solito, quando s’indaga sulle famiglie miste si punta l’obiettivo su coppie composte da partner di differente nazionalità.
“Famiglie in dialogo. Indagine sui matrimoni misti in Italia” esplora il tema della diversità di fede tra gli sposi: è l’originalità di questa ricerca che utilizza i dati forniti dalle diocesi italiane sui matrimoni contratti dal 1999 al 2008 tra cattolici e altri cristiani (matrimoni interconfessionali); tra cattolici e credenti in altre religioni (matrimoni con disparità di culto) e matrimoni tra cristiani e atei.
All’interno di questo gruppo di matrimoni che sono ovviamente una piccola frazione della quota dei matrimoni celebrati in Italia (si possono stimare tra l’1% e il 2%), il primo elemento che si coglie è la forte consistenza dei matrimoni contratti con non credenti che nel decennio considerato è cresciuta arrivando al 33%, c’è stato un cambio di consistenza dei matrimoni interconfessionali che raggiungono il 59%, ma hanno visto un cambio di consistenza al loro interno, perché mentre quelli contratti con partner di chiese evangeliche sono rimasti per lo più stabili, c’è stata un’impennata dei matrimoni con partner ortodossi, sono all’8% i matrimoni interreligiosi.
Il secondo elemento è la forte convinzione dei partner a contrarre un matrimonio, perché – come osserva la sociologa Chiara Canta – le pratiche burocratiche da affrontare per avere il nulla osta dalla diocesi di appartenenza sono molto lunghe.
Il terzo elemento è l’impreparazione a seguire gli sposi dopo le nozze, perché mentre c’è un percorso di preparazione precedente, non si rilevano iniziative per accompagnare successivamente i partner che dovranno affrontare anche un confronto sulle loro esperienze di fede oltre che il naturale confronto tra sposi.
C’è un’esperienza molto comune che ci può parlare di possibile dialogo: i matrimoni misti. Quando due sposi scommettono su una vita comune a partire dalle loro differenze di fede offrono un forte esempio di come sia possibile nella quotidianità superare nel dialogo la distanza della diversità senza rinunciare alla propria identità. Una ricerca, commissionata dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei sui matrimoni contratti tra cattolici e credenti in altre religioni o non credenti dichiarati, affronta uno spaccato quasi sconosciuto. Di solito, quando s’indaga sulle famiglie miste si punta l’obiettivo su coppie composte da partner di differente nazionalità.
“Famiglie in dialogo. Indagine sui matrimoni misti in Italia” esplora il tema della diversità di fede tra gli sposi: è l’originalità di questa ricerca che utilizza i dati forniti dalle diocesi italiane sui matrimoni contratti dal 1999 al 2008 tra cattolici e altri cristiani (matrimoni interconfessionali); tra cattolici e credenti in altre religioni (matrimoni con disparità di culto) e matrimoni tra cristiani e atei.
All’interno di questo gruppo di matrimoni che sono ovviamente una piccola frazione della quota dei matrimoni celebrati in Italia (si possono stimare tra l’1% e il 2%), il primo elemento che si coglie è la forte consistenza dei matrimoni contratti con non credenti che nel decennio considerato è cresciuta arrivando al 33%, c’è stato un cambio di consistenza dei matrimoni interconfessionali che raggiungono il 59%, ma hanno visto un cambio di consistenza al loro interno, perché mentre quelli contratti con partner di chiese evangeliche sono rimasti per lo più stabili, c’è stata un’impennata dei matrimoni con partner ortodossi, sono all’8% i matrimoni interreligiosi.
Il secondo elemento è la forte convinzione dei partner a contrarre un matrimonio, perché – come osserva la sociologa Chiara Canta – le pratiche burocratiche da affrontare per avere il nulla osta dalla diocesi di appartenenza sono molto lunghe.
Il terzo elemento è l’impreparazione a seguire gli sposi dopo le nozze, perché mentre c’è un percorso di preparazione precedente, non si rilevano iniziative per accompagnare successivamente i partner che dovranno affrontare anche un confronto sulle loro esperienze di fede oltre che il naturale confronto tra sposi.
Andrea Casavecchia