Società / E se Brittany Maynard si fosse lasciata influenzare dal clamore suscitato da una campagna mediatica martellante?

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I dubbi ci assalgono: davvero ha scelto “liberamente” di togliersi la vita? Quanto ha pesato nella sua decisione il fatto che, in un certo senso, “ormai” si era “esposta” agli occhi del mondo?  E se avesse pensato di non poter più tornare indietro, perché il clamore suscitato era stato troppo grande? E’ andato in scena una sorta di  terribile “Truman Show”.

Alla fine Brittany ha deciso che non voleva più vivere. Anzi, per usare il linguaggio politicamente corretto tanto in voga, si è avvalsa della facoltà di interrompere autonomamente la sua vita. Così si è messa a letto, circondata dalla sua famiglia, ha preso le pillole che si era fatta prescrivere ed è morta. Non per il cancro al cervello, ma di sua spontanea volontà. Nel dare la notizia, la maggior parte dei titoli online si è orientata sul suicidio, non sull’eutanasia. Come a voler marcare comunque una qualche distinzione nel raccontare l’epilogo di una storia dolorosa.foto

Eppure, ora che tutto è finito e nella speranza che Brittany abbia finalmente trovato la pace, non si può fare a meno di chiedersi: davvero ha scelto “liberamente” di morire? In altre parole, quanto ha pesato nella sua decisione il fatto che, in un certo senso, “ormai” si era “esposta” agli occhi del mondo?

Per fare un esempio molto terra-terra, quando si inizia una dieta, soprattutto se particolarmente ferrea, il consiglio più caldeggiato è quello di dirlo a più persone possibili, di formare un gruppo di auto mutuo aiuto, di cercare una community solidale anche online. In questo modo, si sostiene, da un lato più persone ti potranno aiutare a rispettare il tuo proposito appoggiandoti attivamente e, dall’altro, tu ti sentirai moralmente vincolato a portarlo avanti e mantenerlo proprio per l’impegno preso con loro.

Brittany ha scelto una condivisione oseremmo dire “estrema”, ovvero di rendere pubblica l’ultima parte della sua vita con il conto alla rovescia verso il punto di non ritorno. Il dubbio che resta è che, suo malgrado, si sia trovata in una situazione più grande di lei. Michele Serra, in una sua “amaca” di pochi giorni fa, aveva messo in guardia contro la difficoltà di padroneggiare l’esposizione mediatica: facile da innescare, impossibile da contenere. “Manca solo che sia la conta dei clic (un televoto aggiornato)” – ha scritto Serra – “a stabilire se e quando Brittany deve morire”.

Ecco, chiunque si occupi di comunicazione dovrebbe onestamente almeno porsi il problema: e se Brittany avesse pensato di non poter più tornare indietro, perché il clamore suscitato è stato troppo grande? A ripercorrerle sono state settimane di campagna mediatica martellante, di ossessione interattiva per ogni suo gesto, ogni sua parola. Si seguiva l’avanzare inesorabile della sua “to do list” prima di morire, e sono stati migliaia i messaggi lasciati sul sito internet costruito appositamente. I social network si sono scatenati: i suoi video, i suoi appelli e le sue interviste, diffusi con mirata tempistica, sono divenuti rapidamente virali, con coda di commenti inclusa. Senza contare il colpo di scena a quarantott’ore dalla data fatale, un “forse ci ripenso” che aveva rinfocolato le speranze di chi le chiedeva di non arrendersi, causando un sobbalzo di partecipazione e una pletora di glosse.

Una sorta di terribile Truman show consapevole, in cui il mondo ha vissuto quasi in diretta le ultime avventure terrene di una ragazza bella e sfortunata. E l’aggettivo qualificativo riferito al suo aspetto fisico non è pleonastico, forse cinico, ma sollevato nientemeno che dal bioeticista Arthur Caplan che ha concluso che sì, Brittany ha spostato il modo di guardare al dibattito sull’eutanasia proprio perché giovane, carina, appena sposata. Testimonial perfetta (“Tu… eri vero! Per questo era così bello guardarti!” dice Cristof, il regista-padrone, a Truman che vuole uscire dalla trappola del sistema) per far breccia su un elettorato giovane, sensibile, e in grado di esercitare una consistente pressione mediatica sulle istituzioni con la semplice pressione di pochi tasti sullo smartphone: share, like, tweet.

A sipario calato, lei non c’è più e le ambiguità restano: quanto ci condizionano, nelle nostre azioni, le aspettative degli altri? E quanto questo peso può ingigantirsi, quando il moltiplicatore dei soggetti coinvolti fa sì che, per una volta, sembra davvero che il mondo intero guardi cosa stiamo per fare?

 Emanula Vinai

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