Società / I figli? Solo desideri: lo svela un nuovo rapporto dell’Istat sulla maternità

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Comprendere le difficoltà delle mamme italiane è essenziale per guardare la loro realtà. Un’opportunità è offerta da “Avere figli in Italia negli anni 2000”, un nuovo rapporto dell’Istat, che si concentra sulle mamme che hanno partorito tra il 2009 e il 2010 nel nostro Paese.

L’indagine disegna una panoramica a partire da dati strutturali: il basso tasso di fecondità (1,4 figli per donna); l’avanzata dell’età media al primo figlio (intorno ai 30 anni); il peso del contributo demografico delle cittadine famigliastraniere (16%); le difficoltà incontrate sul lavoro (espresse dal 42,8% delle neo mamme) e i casi in cui si rinuncia alla vita professionale (il 22% non torna al lavoro dopo il parto); il sostegno dei nonni nella cura dei figli (da loro è accudito il 51,4% dei nuovi nati) e l’effetto negativo delle difficoltà economiche (oltre il 60% delle intervistate dichiara di averne).

Tuttavia, il punto più significativo del rapporto è l’approfondimento dedicato alle intenzioni di fecondità, perché offre l’occasione per formare una visione più ampia sulle potenzialità di rinnovamento demografico nel prossimo futuro, e perché potrebbe essere una base feconda per riflettere su politiche da attivare per incrementare la natalità. Alle mamme è stato chiesto di dichiarare sia le loro aspettative sul numero di figli, sia se prospettassero in futuro di avere ulteriori figli.

Dalle risposte emerge una forte dissonanza tra auspici e realtà: infatti mentre il tasso di fecondità è di 1,4 figli per donna, quello atteso raggiunge il 2,29, al di sopra del tasso di riproduzione naturale. Inoltre più del 40% delle madri progetta la nascita di un altro figlio. Ne risulta che mentre la realtà italiana si avvicina alla coppia con figlio unico, il modello di riferimento maggioritario è la famiglia con due figli (9 madri su 10).

Ma allora quali sono gli impedimenti?

È stato chiesto alle madri che non vogliono altri figli: accantonato il 36,6% che dichiara di aver raggiunto il numero desiderato, scopriamo che, da una parte il 23,4% rinuncia per motivi economici e il 5,6% per impossibilità di conciliare vita e lavoro; dall’altra parte che il 15,5% non avrà altri figli a motivo dell’età.

Dalle risposte scaturiscono alcune considerazioni da cui partire per sostenere il desiderio di maternità.

Da un lato ci sono questioni legate alla posticipazione della maternità, dovute a motivi culturali, ma anche alle difficoltà per le giovani coppie di iniziare una vita insieme: il prolungato periodo di inserimento nel mercato del lavoro e la difficoltà di accedere a un’abitazione propria. Dall’altro lato ci sono le condizioni poco favorevoli alla famiglia, originate da scarsa capacità di rendere flessibile l’organizzazione del lavoro e dall’assenza di politiche redistributive e fiscali in grado di favorire le aspettative di chi un figlio in più lo vorrebbe.

 Andrea Casavecchia

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