Sono decenni che l’Italia è diventata una meta per i cittadini di altri Paesi, per alcuni un luogo dove rimanere per un periodo circoscritto, per altri un posto dove stabilirsi, per altri ancora una terra di salvezza. Continuare a scoprirsi sorpresi può diventare una scusa per non affrontare la questione in modo adeguato. Meglio prendere atto che la migrazione non è un’emergenza.
Se è vero che cresce la quota di persone, proveniente da Paesi in guerra e che cerca di approdare nel continente europeo passando dal nostro Paese; è altrettanto vero che c’è un flusso migratorio strutturale motivato da ragioni economiche e lavorative e da ricongiungimenti familiari.
Le iniziative politiche non possono limitarsi alla prima accoglienza, ma devono ragionare su un percorso più ampio che preveda processi d’inclusione e integrazione anche per valorizzare la ricchezza delle persone presenti nella comunità. Oggi la presenza d’immigrati si diversifica in tre strati: i cittadini con tutti i diritti che sono completamente integrati nel tessuto sociale e politico delle comunità in cui vivono; i mezzi cittadini (i “denizen” li chiamano i ricercatori) che sono in possesso di un permesso di soggiorno e lavorano regolarmente in Italia, ma non godono di tutti i diritti né accedono a tutti i servizi; i non cittadini quelli che sono presenti, ma a noi invisibili.
Un recente Rapporto Istat mostra l’evoluzione del fenomeno migratorio: descrive la consistenza della presenza di cittadini stranieri nel Paese; diversifica le ragioni del loro ingresso; evidenzia quanti di essi chiedono e ottengono la cittadinanza italiana. Attraverso la lettura dei numeri si delinea un vero e proprio percorso d’inserimento nel nostro Paese: nell’ultimo anno preso in considerazione, il numero cittadini regolarmente soggiornanti è aumentato di quasi 55mila persone. In Italia sono arrivate circa 250mila persone, in calo del 3% rispetto all’anno precedente. L’Istat indica le tre ragioni prevalenti d’ingresso: la prima è il lavoro anche se nell’ultimo anno ha registrato una flessione passando dal 33% al 23% dei permessi concessi; la seconda ragione è il ricongiungimento familiare che conta oggi il 40% del totale degli ingressi; le ragioni umanitarie e l’asilo politico che in un anno arrivano al 19,3% (l’anno precedente erano solo il 7,5%).
Un altro dato importante indica la crescita del numero di persone che acquisiscono la cittadinanza italiana: l’Istat avverte che negli ultimi quattro anni la quota è passata da meno di 50mila a oltre 120mila. Si mostra un passaggio importante perché indica l’inserimento formale nella comunità politica del Paese di residenza. Se non è il completamento di un percorso d’integrazione, è sicuramente uno dei passaggi essenziale. Un elemento caratteristico è la segnalazione del numero dei giovani che, nato nel nostro Paese e raggiunta la maggiore età, sceglie la cittadinanza italiana: circa 48mila persone.
Andrea Casavecchia