Negli ultimi anni in Italia è aumentato il lavoro irregolare, a testimonianza della fragilità del mercato del lavoro, il quale vive, oltre che di leggi e contratti, di relazioni tra le persone, basate su rapporti di fiducia, di gratuità e di prossimità, ma anche condizionate da esercizio del potere e dallo sfruttamento dei bisogni dell’altro.
Quando si osservano le ingiustizie, i numeri contano poco sia per una questione etica, fosse solo una persona a subirle sarebbe comunque uno scandalo, sia per una questione di affidabilità dei dati, generalmente si tende a nascondere l’elusione della legge e, quindi, è più difficile rilevarla.
Però è significativo annotare che all’aumento della disoccupazione in Italia, tra il 2008 e il 2012 in particolare, secondo l’Istat è corrisposta la crescita del lavoro irregolare (per la precisione del 4%) con dinamiche differenti tra i territori e tra le regioni: un segnale che indica la varietà dell’utilizzo di questa pratica e la sua diffusione in tutto il Paese.
La zona d’ombra del lavoro s’inserisce negli interstizi delle regole, composta di richieste e proposte di complicità (qualche ora in più remunerata fuori dalla busta paga ad esempio,) e arriva allo sfruttamento completo di persone, impiegate per una giornata senza la certezza che successivamente possano essere ricontattate e senza l’assicurazione che al termine della loro prestazione percepiranno qualcosa.
Scopriamo che un primo tipo di irregolarità, il più diffuso, generalmente chiamato “lavoro sommerso” segue l’andamento del mercato del lavoro, perché è praticato e chiesto a chi un’occupazione ce l’ha, mentre il secondo tipo di irregolarità quella identificata come “lavoro nero” cresce quando aumenta anche la disoccupazione.
Di conseguenza, in Italia nei territori, dove è più alta la disoccupazione (nel meridione ad esempio), si rileva maggiormente il secondo tipo d’irregolarità; dove è più alta l’occupazione (ad esempio il centro Nord), è più radicato il primo tipo d’irregolarità. In entrambi i casi, però, bisogna ricordare che si corre il rischio di sfruttamento: è sufficiente pensare che i più coinvolti sono i giovani, le donne e i cittadini immigrati. Contrastare il fenomeno è importante per offrire a tutti, a partire dalle fasce più deboli della popolazione, l’accesso a un lavoro dignitoso, attraverso il quale – come scrive Papa Francesco nella “Laudato si’” al n. 127 – “l’essere umano è nello stesso tempo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. Il lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per tutti”.
Andrea Casavecchia