A Roma si è inaugurata la Porta Santa dell’ostello Caritas di via Marsala, che riapre i battenti dopo 5 anni di lavori. Un’attenzione verso gli ultimi degli ultimi, quelli che fanno fatica a entrare nelle statistiche, che sono poco interessanti per le politiche di welfare, perché sono invisibili, vivono fuori dalle relazioni formali, dormono in un’automobile scassata, in una rientranza di un palazzo, o su una panchina pubblica appartata. Alcuni li si vede girovagare con buste piene e scatole di cartone aperte, tutti i loro averi, altri sono ben vestiti e faticano a chiedere aiuto; vivono dello scarto della società dei consumi; li incontriamo nei Pronto Soccorso degli ospedali, nelle mense per i poveri, davanti alle chiese aperte o sul marciapiede di fronte all’entrata di un negozio, chiedono qualcosa o tentano di vendere un paio di calzini.
Per la seconda volta in quattro anni, l’Istat ha provato a misurare il loro disagio, offrendo una stima dei “senza fissa dimora”. L’indagine è molto complessa perché tiene conto di persone ospiti, durante un periodo determinato di tempo, di una mensa oppure di un ostello, quindi rileva un’immagine parziale del fenomeno, perché coinvolge solo una parte di loro. Si può, tuttavia, delineare un primo identikit seppure sfocato.
Il 25,8% degli intervistati sono impegnati in lavori saltuari, oltre il 39,7% lo ha avuto in passato. Le attività svolte sono assai precarie, per la maggioranza dei casi durano meno di 10 giorni o meno di 20. Per questo la quota di chi non ha un lavoro al momento dell’intervista raggiunge il 72% del campione. Il livello di istruzione è basso, solo il 39,5% ha ottenuto un diploma di scuola superiore, mentre il 13,3% non ha alcun titolo di studio. L’età media degli intervistati è intorno ai 44 anni: cresce per gli italiani (50,3 anni) e diminuisce per gli stranieri (intorno ai 39 anni). L’85,7% di loro è uomo. Ci sono tre cause principali che portano a diventare senza fissa dimora: separazione dal coniuge, perdita di lavoro e stato di salute. Nel 50,9% dei casi c’è una concomitanza di più cause, che mostrano la grave solitudine in cui vivono queste persone.
I servizi di assistenza non sono sufficienti per loro. C’è bisogno di un accompagnamento specifico, di un lavoro costante su ognuno per aiutarli a riaccordare le corde di una vita che ha perso la capacità di andare a ritmo. Le modalità di aiuto concreto sono di diverso tipo anche se è ancora difficile trovare percorsi di uscita concreti per questi stati di grave deprivazione. In questo anno giubilare dedicato alla misericordia torna il richiamo di Papa Francesco che al n. 199 dell’Evangelii gaudium scrive: “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza: quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro ‘considerandolo come un’unica cosa con se stesso’”.
Andrea Casavecchia