Società / Laureati fuori dalle imprese. Il 41,3% delle aziende italiane non conta laureati tra i propri dipendenti

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268x187ximagomundi_15336-268x187-jpg-pagespeed-ic-asekv1vsjnLa società della conoscenza, delle reti globali, dei grandi flussi di informazione e di dati, della continua innovazione tecnologica tende a valorizzare la qualità delle risorse umane. Investire in lavoratori qualificati significa promuovere il campo di ricerca e sviluppo che rendono i contenuti dei prodotti o dei servizi di un’azienda più appetibili e attraenti.
In Italia il 60% delle aziende fatica a impiegare le nuove tecnologie per migliorare la propria produzione e aumentare la presenza sul mercato.
Quando si affronta la debolezza del sistema Italia dovremmo partire dallo scarso investimento sul capitale umano. Sono le persone, a partire da quelle più competenti, la risorsa più importante nel mondo della produzione. Non solo perché innalzano la qualità, ma anche perché creano possibilità di lavoro per gli altri. Noi tendiamo a dimenticarlo.
Ci si interroga sempre troppo poco sulle possibilità occupazionali che vengono offerte ai laureati, mentre siamo sempre disponibili a criticare le difficoltà del sistema di istruzione italiano a garantire livelli elevati e rispondenti alle esigenze di uno sviluppo continuo richieste dal mondo del lavoro globalizzato.
Ma alle imprese l’alta competenza non interessa molto.
Secondo un’indagine Istat anche tra le più dinamiche, definite innovatori strutturali, solo il 7,4% lamenta l’assenza di dipendenti qualificati. Purtroppo il motivo non è perché ne abbiano molti tra le loro file: in media i laureati non superano il 10% delle risorse umane a loro disposizione. Tra le altre imprese la quota si dimezza e si scende sotto il 5%. Addirittura il 41,3% delle aziende non conta laureati tra i propri dipendenti.
In questo campo il confronto con altri paesi europei è impietoso: se in Italia l’80% delle imprese non impiega più del 10% dei laureati, in Germania la porzione scende al 50% e in Spagna al 40%. I laureati sono assenti solo nel 19,7% delle aziende tedesche e nel 18,2% di quelle spagnole.
Una delle ragioni delle scarse opportunità offerte dal mondo produttivo ai lavoratori qualificati è sovente attribuita dagli economisti alla composizione del tessuto industriale italiano, formato da piccole e medie imprese a gestione familiare. Queste, come evidenzia l’economista Francesco Ferrante, adottano stili di reclutamento del personale e di gestione poco idonei alla valorizzazione delle risorse umane: si preferisce ricercare le persone per vie informali, si cerca di selezionare la dirigenza a partire dalla rete parentale, si applicano modelli organizzativi fortemente centralizzati.
Le piccole e medie imprese in passato sono state una forza propulsiva del sistema italiano, soprattutto per la loro agilità nella capacità di adattarsi alle esigenze del momento. Oggi però se vogliono conservare questa loro caratteristica non hanno altra scelta che affidarsi alla conoscenza e all’innovazione, altrimenti rimarranno al traino di altri e non saranno più protagoniste.

Andrea Casavecchia

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