Inseguiamo le immagini di uomo e donna sempre pronti, reattivi, efficienti; l’impedimento mette ansia; sentirsi dipendenti e non autonomi diventa una minaccia alla nostra libertà e ci marca con il segno della sconfitta.
In una società che pone al primo posto il benessere cerchiamo di nascondere i difetti, ancora di più tendiamo a vergognarci delle nostre debolezze: una malattia, una disabilità.
Siamo pronti a discutere e a combattere per garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti e le medesime opportunità, ci dimentichiamo che alcuni di noi non potranno mai godere delle stesse opportunità di altri.
Quando si vive un problema cronico di salute, un’invalidità o una limitazione fisico/sensoriale, non solo i confini delle proprie scelte e possibilità sono meno chiari, ma la vita ha un livello di difficoltà maggiore della media comune. Gli italiani al di sopra dei 15 anni che fanno i conti con queste condizioni sono 13 milioni. Tra questi il 23,4% (3 milioni di persone) si trova in una situazione grave. Lo rileva un ricerca che l’Istat ha svolto in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali: l’obiettivo prefisso era quello di osservare il grado di inclusione sociale delle persone con “limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi”.
Scopriamo che alla sofferenza per le condizioni di salute si aggiunge disagio. Oltre la metà delle persone con limitazioni gravi in età lavorativa trova ostacoli nel trovare lavoro; il 27,2% – più di 3 milioni e mezzo – ha difficoltà a uscire di casa per motivi salute, il 22,3% ha problemi ad accedere agli edifici e il 19,7% a utilizzare i mezzi di trasporto pubblico, uno svantaggio con peso minore perché in molti rinunciano a priori a favore di mezzi privati, le barriere ambientali sono uno degli impedimenti tra quelli segnalati con più insistenza; i problemi di mobilità si ripercuotono sulla possibilità di gestire il tempo libero (studio, acquisti) sono problematici per il 22,1%, per il 17% è addirittura difficile incontrare amici e parenti, questi dati salgono impietosamente – avvisano nella rilevazione – quando ci sono limitazioni funzionali gravi è difficile incontrare amici per il 47,6%, svolgere attività nel tempo libero per il 60,8%.
Dalla descrizione della ricerca prendiamo atto che non solo alcune persone vivono con minori opportunità, ma alcune condizioni sociali tendono a portarli verso l’emarginazione. La malattia rischia di diventare isolamento.
Possiamo trarre comunque due indicazioni per creare condizioni migliori. Una chiede di intervenire sul contesto strutturale: in Italia i territori più attrezzati e con meno barriere architettoniche sono anche quelli con una situazione socio-economica migliore; l’altra valorizza l’efficacia del livello di istruzione: quelli, tra i più fragili, con titolo di studio maggiore riescono ad avere maggiori possibilità relazionali, poiché “ha difficoltà a incontrare amici o parenti il 23,7% di chi ha un titolo di studio basso contro il 9,1% di chi è in possesso di un titolo di studio elevato” si legge nel report della ricerca.
Andrea Casavecchia