Per promuovere la società italiana non è possibile prescindere dalle differenze territoriali e come queste si vanno evolvendo. Ci sono due assi che sembra importante seguire per capire dove si dirige il futuro. Da una parte assistiamo a una crescita di centri urbani diffusi, dall’altra a una concentrazione delle reti di collegamento dei flussi. C’è un doppio movimento: alcuni territori tendono a spopolarsi; vivono l’abbandono delle attività produttive, si svuotano aziende, magazzini, capannoni; e subiscono la dismissione di alcuni servizi, le aziende ospedaliere si razionalizzano, le corse dei mezzi pubblici si riducono, le attività commerciali diminuiscono. Altri territori diventano poli attrattivi che moltiplicano attività economiche, che accrescono le infrastrutture, che concentrano le persone. Questo produce delle forti incongruenze.
Si verifica una forte attenzione verso i grandi centri che vedono sfumare i loro contorni e i loro confini. Così perdono alcuni connotati: per avere un’idea si pensi che, secondo i dati Eurostat, le aree metropolitane di Roma e di Milano contano rispettivamente da sole il 7,1% e il 5,2% della popolazione nazionale e incidono sul Pil italiano del 9,3% e 9,7%. È relativamente poco in confronto ad altri grandi centri europei (Barcellona conta l’11,7% della popolazione e il 13,8% del Pil e Madrid il 13,7% della popolazione e il 18,8% del Pil; Londra da sola il 13,2% della popolazione e il 22% del Pil), però molto in termini assoluti, perché poi queste concentrazioni determinano un forte sviluppo di infrastrutture a scapito di altre: uno studio del Censis rileva che il numero di viaggi giornalieri sui treni di Alta Velocità sono 291 per Roma o 210 per Milano, mentre 184 per Napoli o 83 per Torino. Invece lo studio sottolinea che i nodi dei trasporti tra città sono molto differenziati e cresce il divario tra l’Italia dei poli dell’alta velocità e quella “sconnessa”: come il Mezzogiorno, sotto Salerno o non servita come la direttrice adriatica.
Questa tendenza a sopravvalutare una polarizzazione incompiuta consegna due problemi. Innanzitutto c’è la congestione delle grandi città che se da una parte sono fortemente collegate le une alle altre, non sono in grado di sopportare il traffico al loro interno, perché semplicemente non sono nate per essere delle megametropoli e hanno dei limiti strutturali per alimentare le loro reti di circolazione (l’esempio della Metro C di Roma è eclatante). Così si assiste alla concentrazione di strutture vicino ai nodi cittadini: stazione o aeroporto dove si creano dei nuovi “non luoghi”, spesso anche estranei alla struttura urbana. Poi c’è la sottovalutazione delle reti diffuse sul territorio, delle piccole e medie città che hanno contribuito e contribuiscono anche ora con la loro vitalità economica e sociale alla crescita del Paese, ma che rischiano di rimanere poco servite dalle infrastrutture di grande collegamento. In questo caso si rischia di trascurare una grande tradizione della ricchezza della pluralità territoriale. Non bastano le grandi città per far ripartire l’Italia.
Andrea Casavecchia