Società / Poveri Millennials (italiani), schiacciati fra mancanza di lavoro e innovazione tecnologica

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In molti si interessano ai Millennials. Sono gli appartenenti alla nuova generazione, quelli nati dopo gli anni Novanta. I motivi delle attenzioni ricevute sono vari: per studio, per questioni di marketing e consumi, per sostenere il loro percorso verso la fase matura della vita; soprattutto per immaginare scenari possibili per la società del futuro.

Due esempi per intuire le potenzialità di impatto: negli Usa i Millennials sono già ora la fascia più corposa della popolazione; ad Hong Kong la piazza degli ombrelli che chiede più democrazia ha un leader di 17 anni, Joshua Wong.poverimillenials

In Italia si fatica a pensare ai giovani come soggetti protagonisti. Le attenzioni a loro rivolte sono dirette in un caso al rapporto difficile con il mondo del lavoro: si guardano le statistiche sulla disoccupazione, sugli scoraggiati, sul mancato collegamento tra ciclo scolastico e inserimento lavorativo. Invece un’altra direzione porta a osservare la loro predisposizione ai nuovi media e la loro dimestichezza con le nuove tecnologie che li portano a essere qualificati come “nativi digitali”.

Concentrati sulle due questioni ci dimentichiamo che stiamo parlando delle stesse persone. Se rimanessimo sulla superficie dei grandi numeri da un lato ci apparirebbero completamente disorientate e senza capacità creativa di fronte al mondo della produzione  dove sembrano adottare soluzioni di fuga, scegliendo di migrare all’estero, o di apatia, rimanendo immobili davanti alle difficoltà; dall’altro lato incontreremmo persone rapide e aperte, sempre alla ricerca di tecnologie sopraffine e capaci di interagire su piattaforme web con altre persone nella rete globale. Dentro le due osservazioni poi si dibatte sulle possibili vie teoriche per sostenerli, promuoverli, aiutarli a orientarsi.

Invece se volessimo descrivere i Millennials italiani, per indicare le sfide reali che devono affrontare, dovremmo essere consapevoli che per loro crisi occupazionale e innovazione tecnologica sono solo due qualificanti ingredienti di contesto, ai quali se ne dovrebbe aggiungere un terzo, sempre poco valutato, il loro scarso peso demografico che li rende deboli di fronte alle scelte politiche dei Paesi democratici, dove le strategie vengono pesate sulla forza della maggioranza.

La loro prima sfida, allora, diventa guadagnare autonomia rispetto alle altre generazioni, perché ora non riescono ad acquisire indipendenza economica, né politica e non riescono a svincolarsi dai progetti dei loro padri (e madri); la seconda sfida diventa quella di combattere la tentazione di evadere e cercare il salto di qualità per uscire dalla gabbia dell’individualismo, dove ci siamo autoreclusi, per immaginare una società a loro misura e da confrontare con quella proposta dagli altri.

Certo, assumere queste sfide implica affrontare prove e contrapposizioni intergenerazionali, tra figli e genitori, ma senza prove e contrapposizioni non si diventa adulti e non si entra in un processo di trasformazione vero.

Andrea Casavecchia

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