Ha suscitato molto rumore la campagna di comunicazione del Ministero della salute per sensibilizzare i cittadini alle problematiche legate alla fertilità. In molti hanno attaccato in maniera ideologica il “Fertility day”, altri hanno sottolineato l’imprecisione di un’infelice strategia comunicativa.
L’iniziativa però ha avuto il merito di sollevare, ancora una volta, una questione fondamentale per il futuro del nostro Paese. La grave crisi demografica che stiamo attraversando. Alla diminuzione costante delle nascite che ormai da qualche anno è ferma sotto i 500mila neonati all’anno e a un tasso di natalità stabile a 1,39 figlio per donna, si deve aggiungere la posticipazione dell’età in cui si diventa mamme: per il primo figlio l’età ormai supera i 32 anni per le italiane e negli ultimi quattro anni le neo mamme con età superiore ai 40 anni sono passate dal 31,% al 6,1%. Alcune previsioni sostengono che nel 2050 appena il 12% della nostra popolazione avrà meno di 15 anni.
In un contesto simile è quantomeno fazioso sostenere che essere genitori attiene esclusivamente a scelte personali. Appare evidente che ci siano condizionamenti socio-culturali che portano a una crisi della natalità. Sono questi condizionamenti che vanno affrontati dalle istituzioni per favorire un’inversione di tendenza, che ormai, nessuno si illuda, avrà bisogno di decenni prima di incidere concretamente sulla struttura demografica della popolazione.
La campagna comunicativa, però, presenta anche un difetto nell’impostazione del problema, perché parte da una prospettiva che porta a medicalizzare la procreazione. Affrontare quest’ambito come prioritario appare come iniziare un pranzo dal contorno. Sicuramente è importante informare sulla prevenzione per circoscrivere il pericolo di sterilità. Però si rischia di favorire un atteggiamento che invita ad affrontare la maternità dall’aspetto medico, alimentando una tendenza, già in atto: è sufficiente osservare il numero dei parti cesarei che, se nel 1980 erano circa 72.500, nel 2010 superavano quota 211.000, quasi la metà delle nascite; inoltre può essere indicativa l’attenzione dei circuiti mediatici al continuo dibattito sulla procreazione medicalmente assistita. Generare un figlio passa così da evento naturale a evento clinico.
È importante allora tenere presente, senza trascurare le attenzioni sanitarie, che le scelte di maternità e paternità dipendono soprattutto da un contesto sociale che è più o meno accogliente verso la famiglia: dalle opportunità che si offrono alle donne sul lavoro, dalla conciliazione dei tempi di vita, dalle chance possibili di una stabilità professionale, da politiche fiscali strutturali che promuovano famiglie con figli. Senza una cura delle famiglie non si invertirà il trend della scarsa natalità.
Andrea Casavecchia