Nella comunicazione un fiume di parole esondano continuamente dalla bocca di ciascuno, per dimostrare di avere ragione. Spesso l’istintività prende il sopravvento e, senza fondare le proprie ragioni anche con il confronto, ognuno lotta per vincere e affossare l’altro.
Ogni occasione può diventare un campo di Marte, soprattutto quando siamo convinti che l’altro sbagli sempre. Siamo così bravi, infatti, a rilevare i suoi aspetti negativi e ridicolizzarli, per giudicare, criticare e anche condannare l’interlocutore e scaricare su di lui tutta la responsabilità degli accadimenti! Il campo neutro spesso scompare e appare la rivalsa, la rabbia che proviene dal risentimento o dalla sfida, per dimostrare di essere il migliore.
Non siamo più custodi del silenzio, che permette ad ognuno di essere con tutto se stesso insieme con l’altro senza pregiudizi. In atteggiamento di chi sa di poter apprendere un aspetto ignoto della narrazione, non necessariamente in contrapposizione alle proprie idee.
Nella comunicazione, il silenzio
Non curiamo più il silenzio che ci consente di venire in contatto con la profondità di se stessi animata dallo Spirito di Dio da cui attingere la stessa lunghezza d’onda, per rimanere sempre in relazione.
Non ci immergiamo più nel silenzio che educa alla ricerca, per imparare ad apprendere, ad apprendere sempre, come indica Gregory Bateson. Per non rimanere bloccati nel già fatto e scoprire nuovi orizzonti che possono rendere possibile il cambiamento.
Quando difendiamo le nostre ideologie, creiamo lo sbarramento nella comunicazione e ci impoveriamo. La difesa ad oltranza del proprio pensiero ci impedisce di metterci in ascolto dell’altro in vista del bene comune. Di non riuscire a fare l’analisi concreta e oggettiva della situazione e di non avere una visione globale della realtà. L’ostentazione di ciò che si fa, attribuendosi anche meriti infondati, e la denigrazione degli altri portano ad uno scontro continuo.
Così scrive papa Francesco nell’Evangelii Gaudium:
“Il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi” (n. 235).
Se l’individuo presenta un’identità frantumata, essa si riflette sulla postura, quindi, si rileva nell’espressione verbale, negli atteggiamenti e nei comportamenti, ecc.
Una comunicazione fatta di confronto
Egli spesso tenta disperatamente di unificare in un puzzle i propri pensieri e i propri sentimenti, ma di solito si esprime con una comunicazione che non sempre appare lineare, fondata, diretta, rispettosa, spontanea, semplice, coerente, intima…
L’unificazione della persona, che parte dal senso della propria vita, permette ad ognuno di essere sempre in relazione, di avere a cuore l’altro. Di soppesare ogni parola rivolta verso il tu frontale perché non venga ferito e con il quale si possa costruire un mondo più umano.
Ognuno di noi, infatti, è chiamato ad accogliere l’altro nella diversità, consapevole che innescare la lotta del muro contro muro porta solo alla distruzione di se stessi, anche se apparentemente vincitori. Quando non custodiamo la persona reale, siamo perdenti un po’ tutti.
Se il senso della nostra vita è Gesù e il suo Vangelo, forse la sua Parola è passata di moda? Dove collochiamo il Vangelo nelle nostre dispute, negli attacchi frontali, nelle mormorazioni, nelle calunnie, nelle costruzioni di fatti inesistenti mirati a distruggere l’altro? Nel portare avanti anche con aggressività le ideologie per la difesa dell’individuo e non per il bene reale della persona?
Ritrovare la relazione con il Signore
Quale anello mancante per essere illuminati costantemente dalla Parola del Signore nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni, per portare ovunque una boccata d’aria fresca che parla di accoglienza, di rispetto, di silenzio, di ascolto, di condivisione, di cura, di dono, di bene comune, di perdono e di misericordia?
Probabilmente ci siamo costruiti un Dio a nostra immagine e somiglianza che, nella ferialità della nostra vita, riesumiamo durante i riti e che, nella quotidianità, lasciamo nel cassetto come un talismano. Forse abbiamo perso per strada la relazione con il Signore e, giorno dopo giorno, abbiamo reso l’incarnazione di Gesù Cristo evanescente: con i fatti diciamo che non c’è tempo per lui…ma neanche per noi!
È urgente ritornare in contatto reale con noi stessi, per curare la vita secondo lo Spirito e testimoniare Cristo ovunque e sempre, con lo sguardo rivolto verso gli uomini e le donne che incontriamo.
Dalla scelta quotidiana di un modo altro di vivere, veramente umano e divino, inizia la credibilità della presenza del Signore risorto nella storia. Presenza che si rivela già nella sanificazione della comunicazione e delle relazioni con ogni persona.
Diana Papa