“Vietato sbagliare”, “Pianto greco”, “Un altro pianeta”, “Lamentele vietate”, “La partita infinita”. Qualcuno “sbatte la porta” e qualcun altro “rompe l’incantesimo”. C’è chi “vuole la notte perfetta”, c’è chi “parte dall’Europa per dimenticare gli errori” e c’è chi arriva “stanco alla meta”. E infine la dichiarazione di un campione: “Presto l’arbitro sarà un drone ma così il calcio rischia di morire”. Sono alcuni frammenti di titoli ripresi in questi giorni da pagine dello sport.
Rispetto ai grandi temi e alle grandi questioni che tengono, o dovrebbero tenere, l’opinione pubblica con il fiato sospeso, stare ai bordi della cronaca sportiva appare quasi un’esagerazione, quasi un lusso. Eppure anche in questo mondo, che non è solo quello del pallone, avvengono fatti e vengono segnali che, in negativo o in positivo, indicano la direzione della nostra cultura e della nostra società.
Attorno e sui campi di gioco si incontra una umanità in cui cercare le tracce, attraverso l’esigenza di svago, di una ricerca di valori, di ideali, di sogni.
Attorno e sui campi dello sport corre, con il pallone, le ruote, gli sci, un linguaggio che, spesso mutuato da altri, crea sensibilità e insensibilità, rispetto e disprezzo, rifiuto e accoglienza.
La cronaca sportiva è diventata e diventa sempre più una palestra di formazione umana affidata a giornalisti che avvertono una responsabilità educativa e la assumono con le regole di una professionalità che non ha messo l’etica fuori campo.
Basterebbe seguire sui giornali o in video le telecronache per rendersene conto.
E con stupore a volte ci si imbatte in inattesi maestri di umanità che usano il linguaggio sportivo con cura, che esprimono senza reticenza e senza moralismi la denuncia di violenze.
Ai bordi della cronaca, anche di quella sportiva, si percepisce che il giornalismo continuerà ad avere un ruolo fondamentale per la crescita di una coscienza civile se continuerà ad avere professionisti che uniscono al rispetto delle regole del mestiere il rispetto della persona. Professionisti che rilanciano il grido di allarme di un campione come Platini: “Presto l’arbitro sarà un drone ma così il calcio rischia di morire”.
Non è un allarme spropositato. Lascia intravvedere la deriva di uno sport qualora si consegnasse totalmente alla tecnica ma ancor più lascia trasparire il rischio di un calo di umanità. Il drone che sostituisce l’arbitro ne è un’immagine eloquente.
È significativo che proprio dai terreni di gioco vengano questi segnali e questi ammonimenti, anche se non dovrebbe stupire, perché ogni cronaca è comunque e sempre una scuola dove si può imparare a conoscere l’uomo.
Abituati come si è alle notizie che contano, ai servizi impegnati, alle interviste con personaggi autorevoli, forse diventa faticoso avere più attenzione alla cronaca sportiva che pure non è il racconto del nulla.
Forse occorre scavare di più, forse occorre andare oltre il gioco del pallone per incontrare il gioco della vita all’interno e all’esterno di un campo, di una pista, di una piscina.
Invece si incontra difficoltà a cambiare lettura. Le pagine dello sport restano in fondo al giornale mentre i giornali sportivi mantengono tirature alte. Qualcosa stride.
Ai bordi della cronaca allora ci si chiede – senza esagerazione – se lasciare lo sport all’ultimo posto non sia anche lasciare all’ultimo posto il pensiero a un un’umanità che lo abita. Probabilmente è strano domandarsi tutto questo. Forse è solo un tentativo per dire la differenza tra un arbitro e un drone.
Paolo Bustaffa – Agensir