Mister Salvo Pappalardo ha potuto osservare bene come il desiderio, e spesso quasi l’accanimento, dei genitori di avere un figlio “campione”, possa interferire gravemente sul modo dei ragazzi di approcciarsi allo sport: in questo articolo tenta di spiegarne i meccanismi più evidenti.
La passione, elemento essenziale e allo stesso tempo imprescindibile di qualunque attività umana, si manifesta in vari ambiti della società con lati oscuri e nondimeno pericolosi. Le tifoserie, ad esempio, colorano e animano le partite in modo tale da far definire il calcio che abbiamo visto in pandemia senza spettatori come un altro sport. La deviazione dall’aspetto gioioso e folkloristico lo si vede ogni qual volta riemergono quei temi basati su violenza, xenofobia e mancanza di civiltà.
Quale esempio per i giovani?
La moralità delle masse è essenzialmente basata su una regressione che non concede eccezioni. L’emozionalità insita che guida la massa sfocia poi in quei comportamenti deprecabili fatti di scontri e non incontri. L’altro come entità da far soccombere. In tutto questo, il giovane che si avvicina a questi luoghi lo fa con una identificazione verso il gruppo e conseguentemente ne fa propria l’ideologia ed i comportamenti. L’interiorizzazione avviene per imitazione di figure di riferimento.
Quali figure di riferimento oggi?
Le figure di riferimento primarie risultano determinanti nell’instaurare il primo rapporto significativo, perché traccia il solco nel quale tutti gli altri rapporti verranno coltivati. Col tempo l’imitazione e l’interiorizzazione delle figure di riferimento vengono a modellare le caratteristiche personologiche di un giovane in crescita. Questo processo, chiamato in psicologia ‘individuazione’, passa per delle tappe ben definite.
La castrazione di Edipo
Il famoso complesso di Edipo (o di Elettra), per il quale si odierebbe il genitore dello stesso sesso perché si ama l’altro, si risolverebbe per Freud tra i 3 e i 6 anni: dal momento in cui, cioè, si interiorizza la figura genitoriale omologa e la si accetta. Come si interiorizza il genitore? È la “castrazione” genitoriale a dare avvio a questo processo, ovvero l’introduzione della norma, la frustrazione graduale, l’ingresso dell’altro (inteso in senso ampio) che può limitare la libertà di volizione e di comportamento e che finisce per creare in breve lo sviluppo morale.
Ovvero il discernere ciò che è bene e ciò che è male. Il bambino piccolo al quale vengono regolarmente soddisfatti i propri bisogni sviluppa un pensiero di onnipotenza. È naturale e normale che sia così proprio per un equilibrato sviluppo fino ad una certa età: i primi bisogni sono quelli fisiologici e di sicurezza. Questa convinzione di poter ottenere tutto, con la crescita, ha bisogno di essere contenuta. Nel mondo, infatti, non è possibile ottenere sempre ciò che si vuole, pertanto il “no” è un utile ed efficace strumento di educazione.
Mister Pappalardo / Il genitore elicottero e il figlio “campione”
Viene definita così quella figura che funge da chioccia fino ad una tarda età, evitando così la piena autonomia e realizzazione dei figli. Un’indipendenza che, si badi bene, comincia già con il primo atto di creazione da parte del bambino: il controllo dello sfintere. Ubbidire alle direttive genitoriali sul quando e dove è possibile espletare i propri bisogni può influenzare lo sviluppo dello spirito di autonomia, ovvero l’insediarsi della vergogna e del dubbio di non riuscire.
Tendenzialmente nei genitori elicottero si assiste ad una rapida assistenza ad ogni difficoltà (anche presunta) dei figli, una preoccupazione eccessiva per gli status symbol in modo che siano socialmente all’altezza (vestiti bene, che abbiano il cellulare, in generale che non siano inferiori agli altri), una visione dei figli troppo identitaria tale per cui la prole sia un prolungamento di sé stessi. Attenzione però, perché il pronto esaudimento delle richieste crea la percezione di onnipotenza che, invero, è basata sul soffocamento del desiderio. L’ottenere rapido comporta due conseguenze: 1) non aver contezza della fatica necessaria per ottenere qualcosa, 2) ricevere un messaggio implicito di dubbio sulle capacità di potercela fare da solo.
Mister Pappalardo / Un figlio campione: i pericoli incombenti
Questa situazione di comodità è perpetrata anche con la disqualificazione delle altre possibili figure di riferimento che osano mettere in difficoltà il pargolo. Insegnanti e allenatori sono spesso tacciati di incompetenza: questo avviene quando non danno ciò che agli occhi dei genitori sembra essere il giusto riconoscimento delle capacità dei figli. In un contesto del genere, il pericolo maggiore è dato dalla supposta scontatezza delle cose e dalla conseguente indifferenza con la quale il bambino prima (e il ragazzo poi) affronta le varie vicissitudini.
Tali esperienze, in quanto fuori dal suo controllo, possono confluire in episodi depressivi, ansiosi, ossessivi, fobici o disturbi alimentari. L’impossibilità di affrontare delle sfide perché il genitore provvede a ogni cosa (evitando così il rischio di cadere nell’errore, nell’incertezza e nel dubbio) non consente di assaporare un’esperienza che sia diversa dall’ottenere tutto e subito. La conseguenza di questi comportamenti diviene che l’essere curato e protetto da un determinato nucleo familiare è indifferente per lui, così come la stima superficiale data dall’aver tante cose. D’altro canto, poi, è possibile che sia difficile anche l’autorealizzazione: questo perché il soggetto non sa cosa vuole, non sa chi è. Non ha fatto, in altre parole, esperienza di sé.
La funzione pedagogica dello sport
In generale lo sport porta con sé i benefici fisici dati dall’attività stessa, oltre a una enorme potenzialità educativa e di sviluppo di abilità personali: come il senso di auto-efficacia, autostima e fiducia nelle proprie capacità, e al benessere emotivo. Non bisogna poi dimenticare il benessere dato dallo sport a livello di abilità sociali come lo stabilire relazioni di amicizia, il miglioramento delle capacità comunicative, lo sperimentare un senso di appartenenza e la collaborazione con altri.
Il gioco del calcio, proprio perché è in primis un gioco, porta con sé tutti gli aspetti positivi della simulazione. Oltre all’apprendimento e al miglioramento delle sue abilità tecniche, motorie e tattiche, ciascun piccolo calciatore ha la possibilità di mettersi alla prova con sé stesso e gli altri. Questa sfida dovrebbe portare con sé il piacere (iocus) e la motivazione nella pratica (ludus): nel caso in cui mancasse, magari dovrebbe essere presa in considerazione l’idea di provare un’altra disciplina. Si noti che le motivazioni allo sport, basate su una ricerca condotta su 8000 bambini, sono state identificate come segue:
- Divertirsi
- Fare qualcosa in cui si è capaci
- Rimanere in forma
- Imparare o migliorare le proprie abilità
- Essere parte di una squadra.
Mister Pappalardo / Un figlio campione: i genitori e la pratica sportiva
I genitori, attraverso il loro supporto, hanno un’enorme influenza, nel determinare il divertimento e l’entusiasmo dei figli nello sport e il loro senso di competenza. Al contrario, attraverso una pressione eccessiva e invadente, possono scatenare ansia e burn-out, portando con maggior probabilità all’abbandono precoce dell’attività.
I vari studi sull’influenza genitoriale sono così riassumibili:
- le aspettative e l’atteggiamento dei genitori verso il successo è correlato alle percezioni e alle motivazioni dei figli.
- l’influenza genitoriale viene convogliata attraverso il rinforzo e il modeling (fungere da modello).
- i genitori sono i maggiori agenti di socializzazione che influiscono sul coinvolgimento dei figli nello sport.
- la percezione dei figli del livello di interesse dei genitori è predittiva dell’iniziale e continuativo coinvolgimento nello sport.
- bassa percezione di pressione genitoriale è associata ad alti livelli di divertimento.
- una maggiore motivazione intrinseca è stata riscontrata quando il figlio percepisce che il genitore sia più interessato al miglioramento delle sue capacità piuttosto che al risultato.
Prendere coscienza di quanto l’influenza genitoriale possa condizionare la piacevolezza della pratica sportiva è già un primo passo.
Quali soluzioni?
Bisogna lasciar loro il tempo di sbagliare, di fare esperienza e di tentare nuovamente. Solo dallo sbaglio vi può essere apprendimento trasformativo: l’errore può dunque tramutarsi in occasione d’oro da sfruttare per trasformare quell’esperienza in qualcosa di produttivo. Ciò in cui i giovani possono essere aiutati è nell’attivazione di quel processo che parte dalla riflessione e che porta prima al perdersi nell’interpretazione, quindi a ritrovarsi nella narrazione: per poter far questo, però, devono potersi aprire all’esperienza senza la paura di sbagliare, di essere criticati e di essere etichettati come “scarsi”. L’apprendimento che sia processo e insieme costruzione del sé si basa su esperienze: tali occasioni sono intrinsecamente permeate da rischio e competenza in quanto vi è sempre un intreccio di incertezza e di messa alla prova delle proprie capacità. In sintesi vi è l’esposizione all’errore.
Imparare e crescere a partire dagli ostacoli
In questi termini di processo, di viaggio e di percorso, l’errore scopre la sua etimologia e ne rivela le opportunità generative di apprendimento. L’andare di qua e di là, l’uscire fuori strada e il ritorno, il ritrovarsi sono l’essenza dell’esperienza stessa. Non può, pertanto, esserci un apprendimento che non contempli un cammino e un percorso che sia accidentato e che presenti ostacoli, che vi sia in questo la crisi delle proprie competenze, la fatica e la sofferenza nell’esperienza.
“Ognuno desidera che la vita sia semplice, sicura e senza ostacoli; ecco perché i problemi sono tabù. L’uomo vuole certezze e non dubbi, risultati e non esperienze, senza accorgersi che le certezze non possono provenire che dai dubbi e i risultati dalle esperienze”.
*Allenatore Uefa B, laureato in Economia aziendale e specialista in formazione, con esperienza in squadre afferenti alla FIGC.