Alla fine il vecchio satrapo del calcio ha fatto un passo indietro: Sepp Blatter ha annunciato le dimissioni dopo che lo scandalo corruzione aveva da settimane travolto la Fifa. Eppure lui, grazie ai suoi fedelissimi delegati di mezzo mondo, era riuscito nonostante ciò, a strappare il suo quinto mandato da presidente contro tutto e contro tutti, ma soprattutto contro il buon senso che avrebbe suggerito da molto tempo una rinuncia. Niente da fare: troppi interessi in ballo, troppo denaro che scorre impazzito da una parte all’altra del mondo, troppi sponsor e tv che si sono legati al vecchio capo giunto alla soglia del 19° anno di dominio assoluto. Solo quando il cerchio delle indagini si è stretto alla gola dei suoi vice, allora è arrivata la resa anche di Blatter, che però ha già annunciato che resterà fino a dicembre, giusto il tempo per riorganizzare le sue truppe per evitare sorprese sgradite tra i nuovi vertici.
Questo è purtroppo il calcio contemporaneo, almeno quello che si respira nelle stanze dei bottoni, condizionato da un business onnipotente che ha relegato il “gioco” ai margini per poter fare comodamente i propri affari. Ora il capo che è autodimissionato arriva a dire: “C’è bisogno di rinnovamento…”, quando ha sempre negato ogni intromissione, comandando con i soliti noti per oltre tre lustri con pugno di ferro. Non sappiamo se davvero la Fifa avrà il coraggio di voltare pagina: c’è voluto il “tintinnar di manette” in arrivo dagli Stati Uniti per provocare questo terremoto, ma proprio le origini di quest’inchiesta stanno già provocando un caso di geopolitica che ha visto larghe parti di Asia e Africa schierarsi a spada tratta con Blatter, difeso a oltranza anche da Putin che solo pochi anni fa aveva incassato l’organizzazione dei Mondiali 2018. Eppure, secondo fonti Fbi, Blatter ora sarebbe indagato e nulla sarà più come prima.
Vedremo cosa succederà, ma l’impressione è che il calcio non sia ancora pronto per il cambiamento: in tanti, in troppi, sono stati a fianco del presidentissimo fino ai limiti della decenza e quelle vecchie logiche, clientelari e spartitorie, sono dure a morire, specie se irrorate continuamente da fiumi di denaro. Un atto di coraggio, se davvero si vuole voltar pagina, sarebbe andare a fondo alla corruzione che ha segnato l’assegnazione degli ultimi Mondiali: e se per Russia 2018 diventa difficile tornare indietro con la macchina organizzativa che è già lanciata, dire no a Qatar 2022, con tutti i suoi dubbi e i tanti lutti che già hanno funestato i suoi cantieri, sarebbe il primo atto di coraggio del nuovo corso: altro che moviola in campo…
Leo Gabbi