Emiliano Mondonico lo conosciamo tutti: per la sua grande abilità in panchina, per aver portato in alto squadre anche piccole, riuscendo a far leva sui valori umani dei suoi ragazzi. Il “Mondo”, come lo chiamano nel gergo sportivo è infatti prima ancora che abilissimo stratega, campione di umanità: da sempre si distingue per iniziative legate alla solidarietà in grado di coinvolgere ragazzi meno fortunati di quelli che ha allenato lui in Serie A: da Vialli a Stromberg fino a Scifo. Lo fa senza clamori, cercando di badare al sodo: come adesso, che è diventato testimonial degli oratori italiani e si è messo ad allenare una squadra di ragazzi ex alcolisti, che sono riusciti a risalire dal tunnel della disperazione. D’altronde il tecnico è un esperto di come risalire la china quando si tocca il fondo: nel 2011 venne colpito da un tumore all’addome che lo costrinse ad abbandonare la panchina. Ma dopo due operazioni riuscì a sconfiggere il male e questa traumatica esperienza lo convinse ancor di più a riversare tutto il bene che aveva ricevuto in quei mesi terribili ai ragazzi meno fortunati.
Con i suoi ragazzi, che allena ogni settimana, Mondonico ha partecipato ai Campionati del mondo dei senza tetto. E alla Gazzetta dello Sport ha pure raccontato il suo rapporto speciale con uno di questi ragazzi, Matteo, che ha risalito gradino per gradino il tunnel in cui era precipitato. Lui, alcolista cocainomane, ma ormai in astinenza da quasi 1.300 giorni, ha avuto la spinta decisiva a risollevarsi dopo l’incontro con il tecnico di Rivolta d’Adda: “Mi ha fatto scoprire lo sport – dice il ragazzo -, insegnandomi che ci sono delle regole da rispettare. Al primo allenamento con lui, per la prima volta non mi sono sentito solo. Quell’ora che trascorro con il mister mi aiuta a credere nei miei mezzi e ad avanzare lungo la strada dei valori che contano”. Sì, perché parte della terapia creata dal centro di alcologia di Rivolta diretto da Giorgio Cerizza, consiste proprio in allenamenti e partite guidate in panca dal grande Emiliano. I suoi calciatori sgobbano come se dovessero affrontare la Champions: ci sono ragazzi, ma anche uomini e donne anche maturi che si affidano con fiducia al Mondo: lui fischia e gesticola come faceva ai tempi di Vialli e della Cremonese dei miracoli: “Ho voluto dare una mano, ma li tratto da squadra vera – aveva detto il tecnico al Corriere della Sera durante i primi tempi della sua esperienza -: non è un passatempo né per loro né per me, o un modo per mettermi la coscienza a posto. Soltanto, ho scoperto la forza del volontariato”. Una forza travolgente, quella dello sport, che secondo il navigato allenatore lombardo “può davvero aiutare questi ragazzi: in fondo la cura può partire davvero dal campo, dove il calcio richiede grandi sacrifici, che però non sono nulla rispetto a quelli che devono affrontare con i medici”. L’impegno sportivo serve ad “allenare” muscoli e cervello, a temprarli per superare le prove più difficili, a capire che, se ci si pone degli obiettivi, tutti insieme ce la si può fare, con forza di volontà e gioco di squadra.
Leo Gabbi