Ora che il trasferimento dei poteri tra i due presidenti, Barack Obama e Donald Trump, è stato completato con un meccanismo costituzionale di riti e liturgie, durato due mesi e mezzo, e la nuova Amministrazione si è insediata inaugurando il mandato il 20 gennaio 2017, è finalmente giunto il momento per riflettere sulla personalità del nuovo Capo della Casa Bianca e per domandarsi quali precedenze, costituiranno – tra quelle presenti nell’agenda o nel messaggio inaugurale programmatico di Donald Trump – l’oggetto del lavoro dei prossimi mesi del nuovo Team di Washington.
E’ comprensibile che il Paese si attenda un netto cambiamento d’indirizzi in direzione della politica estera. Un riesame approfondito ed un approccio nuovo e diverso, riveduto (o ravveduto?) dei rapporti Est – Ovest, per sostanziali e specifici motivi, si rendono necessari.
Lo chiede con insistenza e da tempo Putin, che vorrebbe accordarsi con gli Stati Uniti per fissare un limite definitivo agli armamenti nucleari.
Lo invoca la nuova situazione geo – politica mondiale, che non ha bisogno di guerre e conflitti regionali, in Medio – Oriente o in Africa, (“guerra mondiale a tappe” o a scaglioni, secondo l’ azzeccata ed efficace analisi di Papa Francesco) inutili, destabilizzanti, costosi e soprattutto cruenti e profondamente tragici, per la popolazione civile di quelle sfortunate località, che ne porta interamente il peso. Un riequilibrio, intanto, dei rapporti Stati Uniti – Europa – Russia: è stato detto e scritto che la politica estera americana, la quale ha spinto l’Europa contro la Russia, con le sanzioni o altro, è autolesionista, perché in cambio non aiuta gli americani in questioni chiave, come il conflitto in Siria, il terrorismo dell’ISIS -. E’ utile, quindi, un buon rapporto con la Russia di Putin, per trovare la pace in Siria e nelle altre zone “calde” del Mondo. La minaccia terroristica non si può combattere come pure si è visto – con i bombardamenti russi o americani. Si ragiona di nuovo sul relativismo dei sistemi politici, che possono essere diversi e non sempre possono fare accettare la democrazia a tutti, specialmente quando essa sia esportata con le armi in mano. Lo comprese bene a suo tempo, il presidente Kennedy (“non possiamo risolvere tutti i mali del Mondo”) che l’esportazione della democrazia, manu militari, è una illusione e crea ancora altre più gravi e tragiche illusioni, perché non si creano nuovi equilibri, disgregando quelli vecchi .(Vedere Iraq, vedere Libia, vedere Siria).
Donald Trump intende lavorare per creare rapporti più distesi e meno conflittuali. Si rende conto che le guerre – autorizzate o meno dall’ONU e col sostegno o meno della NATO – costano agli Stati Uniti, miliardi di dollari (da 4 a 6, parrebbe, secondo un calcolo aggiornato ad oggi) e non solo questo. Trump è giustamente preoccupato dell’impatto che questa politica guerrafondaia produce all’Estero. Ecco, perché intende “rafforzare i vecchi legami e creare nuovi amici”, si rende conto che non può proseguire con la vecchia politica di Obama, che ha in parte, deluso. Tra le pagine scabrose di quella presidenza, occorre annotare anche l’ordine di uccidere Osama Bin Laden, e gli interventi in Libia e Siria: non è possibile separare la morale dalla politica, in nome di utili interessi nazionali, che non trovano cittadinanza, accoglienza, con la democrazia ed il diritto internazionale. Gli Stati Uniti mantengono il primato tra le Grandi Potenze, anzi restano l’unica Grande Potenza globale, ma non possono più imporre un primato o un ordine americano nel Mondo. La politica estera americana deve considerare le altre potenze economiche, il Brasile, la Cina, l’India, l’Iran ed il Sudafrica, con cui si rende necessario condividere l’economia globale. Il ritorno alla linea del buon senso dell’indimenticato Presidente, che aveva eretto l’incontro, la negoziazione ed il dialogo, a simbolo di quella politica (“non negoziare mai per paura, ma non aver mai paura di negoziare”) molto probabilmente sarà tenuto in conto da questa nuova Amministrazione.
Washington è giustamente preoccupata, dopo ben 25 anni di guerre ininterrotte all’Estero, che venga proprio meno quel principio di credibilità della politica estera degli Stati Uniti, che deve essere fondata sull’autorità come sull’autorevolezza degli Stati Uniti e che costituì, peraltro, il pilastro fondamentale della politica estera dell’Amministrazione Kennedy.
Oggi, come allora, nel 1960, l’opinione pubblica americana è nettamente contraria a guerre all’Estero. L’autorità e l’autorevolezza non debbono necessariamente essere sorrette da interventi armati. L’esplorazione della possibilità di un vertice quasi subito, Trump – Putin, dopo l’insediamento ufficiale di questa nuova Amministrazione, è da salutare come un fatto politico intelligente e giudizioso, perché serve ad entrambi i Leader intanto per conoscersi di persona e poi per discutere come far scendere la tensione nel Mondo.
Il presidente Kennedy incontrò Nikita Khrushchew a Vienna, in un periodo cruciale della Guerra Fredda, ed il Vertice Sovietico – Americano del 3 e 4 Giugno 1961, pur senza approdare a risultati concreti ed ad accordi specifici, fu molto utile, non solo perché venne definito “franco e cordiale”, ma soprattutto perché le “questioni che regolano i rapporti fondamentali tra le Nazioni, debbono essere discusse tra protagonisti e non tra comparse”(principio di John Kennedy). In un Mondo, oggi come nel 1961, dilaniato da guerre regionali ed anche da profondi dissensi e conflitti ideologici e contrasti e divisioni anche di carattere religioso, così come da persistenti e pesanti disparità economiche e da sperequazioni nella distribuzione delle risorse dell’intero Pianeta, il primo nemico da battere sarà l’inimicizia, che porta all’egoismo ed alla guerra. Il ristabilimento del dialogo costituisce la prima ed indispensabile mossa, per incanalare sul terreno politico tutte le differenze di vedute, oggetto delle future conversazioni tra i capi delle due Super – Potenze, a cominciare da quelle sulla struttura militare della NATO, eretta in un assetto mondiale, assai diverso dall’attuale.
Non sembra esatto catalogare la presidenza Trump come isolazionista o rinchiusa nella fortezza America; l’Amministrazione è dotata di cospicuo realismo politico, ed in politica estera è con la Dottrina di John Kennedy che le connessioni sembrano molteplici e rilevanti. Aspettiamo, quindi, con fiducia, all’opera, il nuovo Capo della Casa Bianca.
Sebastiano Catalano