Il “Discorso sullo Stato dell’Unione” 2013 di Barack Obama è stato senza dubbio uno dei discorsi migliori e più importanti della sua presidenza Ciò che lo distingue da altri leader e dai recenti presidenti Usa è il suo sistematico partire dagli ultimi e richiamare la solidarietà e la corresponsabilità di tutti. La sua attenzione a includere chi è escluso gli mantiene un favore popolare non solo emotivo.
Il “Discorso sullo Stato dell’Unione” 2013 di Barack Obama è stato senza dubbio uno dei discorsi migliori e più importanti della sua presidenza.
Lo “State of the Union” è l’abituale appuntamento in cui il presidente degli Stati Uniti si rivolge al Congresso, che ospita nell’occasione i due rami del Parlamento, per fare un bilancio della situazione del Paese e indicare le prospettive future. Obama lo ha pronunciato recuperando la tradizione con cui lo “State of the Union” era nato: indicare gli impegni della presidenza e contemporaneamente precisare le responsabilità del Parlamento.
Il presidente Usa, infatti, si trova ad avere a che fare con un Parlamento a maggioranza repubblicana che in questi anni ha contrastato sistematicamente la sua azione di governo. Per questo ha indicato con precisione gli ambiti in cui il Parlamento è chiamato alla responsabilità. Innanzitutto occupazione, protezione sociale e corresponsabilità fiscale, chiedendo un riequilibrio del prelievo fiscale che liberi risorse per i cittadini con redditi medi e bassi e chieda maggiore impegno a quelli più ricchi. Quindi il cambio climatico e l’uso di energie pulite in modo da non lasciare alle generazioni future un pianeta compromesso. Infine l’intervento legislativo sulle armi private che tuttora uccidono e la questione fondamentale dell’istruzione e della formazione.
Il discorso di Obama è stato molto ampio. I media del pianeta si sono concentrati sul ritiro dall’Afghanistan, che Obama ha confermato annunciando il ritorno a casa di 70mila soldati tra il 2013 e il 2014. Ma l’enfasi non è stata sulla politica internazionale, per quanto non siano mancati riferimenti precisi al Medio Oriente, all’Iran, alla Birmania e soprattutto all’apertura d’iniziative di dialogo politico e commerciale con i Paesi che si affacciano sul Pacifico. Il centro del suo intervento è stato dedicato alla qualità della convivenza tra i cittadini degli Stati Uniti, sottolineando che il Paese più ricco del mondo non può parlare al mondo se non risolve prima i problemi d’ingiustizia sociale al suo interno.
Obama ha cercato di mostrare come il Paese sia composto da mille categorie, tutte in qualche modo vulnerabili e tutte in grado di superare la vulnerabilità attraverso un esercizio di corresponsabilità solidale. Ha dato la maggiore attenzione al lavoro, da rendere accessibile a tutti e in grado, attraverso retribuzioni adeguate, di consentire una vita dignitosa. Ha parlato di popolazione che invecchia e che ha bisogno di cure e attenzioni non solo mediche. Ha citato spesso i bambini. Forse per la sua condizione di padre, i bambini sono sempre presenti nei suoi discorsi, con una frequenza molto maggiore di quella di qualsiasi altro leader. Ha invitato a intervenire legislativamente per rendere più accessibili le scuole superiori e le scuole materne, oggi un lusso riservato negli Usa a 3 bambini su 10.
Il presidente è apparso deciso. Ha detto duro “se non lo farà il Congresso, lo farò io, con gli strumenti della presidenza”. Ma non è apparso un leader arrogante che disprezza il Parlamento. Per ogni richiesta d’impegno legislativo ha presentato un riferimento costituzionale che lo motivava. Per ogni argomento ha offerto un riferimento etico, un esempio di buone pratiche e una proposta di legge precisa.
In questo momento il mondo repubblicano, dopo la sconfitta elettorale, è diviso. Il suo gruppo parlamentare raduna persone che cercano responsabilmente la collaborazione con i democratici su temi fondamentali come quello fiscale e finanziario, insieme a estremisti che sembrano godere del gioco al massacro che cerca la delegittimazione indiscriminata di qualunque istituzione. In questi quattro anni il confronto continuerà a essere molto duro.
Obama è un uomo consapevole, preparato e determinato. Nei primi quattro anni, a causa degli ostacoli posti dal Congresso, ha dovuto rinunciare a molti obiettivi, ma ha vinto la battaglia più importante sull’estensione delle cure sanitarie. Non avere preoccupazioni di rielezione, come abbiamo già notato, lo renderà più libero e probabilmente gli permetterà di essere più deciso nel perseguire quanto ha annunciato davanti al Parlamento. Ciò che lo distingue da altri leader e dai recenti presidenti Usa è questo sistematico partire dagli ultimi e richiamare la solidarietà e la corresponsabilità di tutti. Sorprendendo molti ha annunciato un’iniziativa per studiare come aumentare la partecipazione al voto, perché nessun governo è davvero legittimo se molti sono quelli che si astengono. È questa attenzione coerente a includere chi è escluso che gli mantiene un favore popolare non solo emotivo.
In questo ricorda Kennedy e non per nulla Obama ha aperto il discorso citando il presidente assassinato nel 1963: “Il compito di parlare dello Stato dell’Unione è mio, quello di migliorarlo è di tutti”.
I due fratelli Kennedy suscitarono grandi speranze, che solo la violenza verso di loro e l’amico Martin Luther King riuscì a contenere. Speriamo che quel seme diventi oggi più fecondo in un mondo che vive disuguaglianze scandalose. Ne abbiamo bisogno anche nell’Europa che balbetta solidarietà nei dibattiti elettorali, perché si torni a considerare i cittadini non fonti sacrificali, ma risorsa.
Riccardo Moro