Stop alla guerra civile / Dopo 23 anni Mogadiscio riparte dall’Università: è il ritorno dello Stato

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Il rettore Mohamed Ahmed Jimale: “Uno dei nostri primi obiettivi è formare i ‘quadri’ e i tecnici che possano mettere in pratica i programmi di sviluppo del Paese”. Monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e vicario apostolico di Mogadiscio: “Bisogna puntare sulla rinascita dello Stato somalo”. L’importanza della ricostruzione di un sistema educativo.

Mogadiscio, oggi, non è solo la capitale di un Paese in conflitto. È anche la città dove lo scorso ottobre, dopo ventitré anni di guerra civile, un’università statale ha ricominciato a tenere corsi di laurea. Medicina, veterinaria e zootecnia, agraria, economia, giurisprudenza, magistero: sono queste le discipline che i primi 350 allievi potranno studiare nel campus, uno dei sette che l’Università nazionale somala (Snu) aveva in città, e che è stato ricostruito grazie all’aiuto finanziario del Bahrain.

Istruzione gratuita. “Uno dei nostri primi obiettivi è formare i ‘quadri’ e i tecnici che possano mettere in pratica i programmi di sviluppo del Paese”, spiega dalla capitale somala mogadiscio riparteMohamed Ahmed Jimale. Questo professore di 60 anni è il rettore della Snu, istituzione che in tempo di pace ha anche frequentato, specializzandosi in Veterinaria, proprio una delle facoltà su cui l’ateneo, rinato, vuole puntare di più. “La nostra economia – prosegue infatti Jimale – era basata su agricoltura e allevamento, ma i professionisti che le facoltà di agraria e zootecnia avevano prodotto negli anni ‘70 e ‘80 oggi sono invecchiati, hanno lasciato il Paese o sono morti in guerra; in più, naturalmente, senza economisti, la Somalia non può decollare”. Di qui, dunque, la scelta delle discipline da privilegiare: sono quelle necessarie a ricostruire la nazione africana dal punto di vista amministrativo e sociale, sottraendola alla definizione di “Stato fallito” che ormai da due decenni gli esperti le associano. Molto resta da fare, soprattutto per trovare le risorse necessarie al funzionamento della macchina statale. Basti pensare che, a tutt’oggi, il 35% del prodotto interno lordo arriva da una fonte informale, le rimesse degli emigrati, e che una percentuale non di molto inferiore è costituita da aiuti delle organizzazioni internazionali. Anche in presenza di questi limiti, però, bisogna sforzarsi di investire nelle risorse umane, nota il rettore. “Il 70% dei giovani somali che completano le scuole superiori – ricorda – non ha i mezzi per iscriversi all’università: ora per la prima volta dall’inizio della guerra civile esiste un’istruzione universitaria gratuita e chi finora non ha potuto frequentare un’università privata, ora può partecipare agli esami di ammissione e cercare di ottenere un posto alla Snu”.

Potenziale di rinascita. Il prossimo passo, prosegue il professore, dovrebbe essere, sempre con l’aiuto della comunità internazionale, l’apertura di facoltà tecniche, come quella di ingegneria, “che possano creare professionalità capaci di assicurare la ricostruzione”. Ma già oggi l’ateneo può dare un contributo potenziale alla pacificazione di un Paese in cui 7 abitanti su 10 hanno meno di 30 anni. “Sono forze – argomenta Jimale – che, se non saranno utilizzate dallo Stato, lo saranno contro di esso”, da movimenti come i fondamentalisti di al-Shabaab, ancora capaci di colpire obiettivi di alto profilo. “Bisogna puntare sulla rinascita dello Stato somalo”, è anche l’invito di monsignor Giorgio Bertin. Secondo il vescovo di Gibuti e vicario apostolico di Mogadiscio, infatti, “il ruolo dello Stato, e di uno Stato che dialoga con le istituzioni internazionali e le realtà locali, resta importantissimo per creare un sistema educativo tollerante e che segua il principio della ricerca della verità”. I problemi della Somalia, prosegue, “in questi ultimi anni sono sempre stati affrontati dal punto di vista politico, di sicurezza, umanitario, ma è necessario guardarli anche da quello dell’istruzione, dell’educazione: certamente il nuovo inizio dei corsi all’università nazionale somala è un passo molto importante, un segno che il Paese cerca veramente di ripartire”. Già in passato, all’indomani della decolonizzazione, la Snu era stata fondamentale in questo senso: parte dell’attuale classe dirigente, compreso il presidente della repubblica Hassan Shaikh Mohamud, si è formata nelle aule di questo ateneo. La speranza è che questo possa tornare ad avvenire, seguendo la strada indicata da Mohamed Ahmed Jimale. “Al programma di ristabilimento della sicurezza – conclude – bisogna affiancarne un altro che permetta a questi giovani di avere un futuro che loro possano vedere; ora non è così e tutti possono servirsi di loro, ma se non diamo opportunità ai giovani, pacificare il Paese sarà molto difficile”.

Davide Maggiore

 

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