Storia / Il siciliano colto nella poesia di Giovanni Meli

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Il siciliano colto nella poesia di Giovanni Meli

Il dialetto, specie quello siciliano, è stato usato in letteratura come altrettante lingue fin dalle sue origini. Diversi autori che l’hanno usato riuscivano a esprimere con esso diversi significati. C’è chi esprimeva tali significati in maniera più diretta, come Domenico Tempio, c’è chi invece chi si conformava maggiormente ai canoni del tempo pur senza rinunciare ai propri scopi e temi. Parliamo di Giovanni Meli, figura importante della poesia siciliana.

Come Domenico Tempio, Meli scriveva sia poesie che poemi. Il suo stile era ispirato a noti autori italiani come ad esempio a Francesco Berni e classici grechi tanto che in vita è stato battezzato con l’appellativo di Anacreonte siciliano. Fu apprezzato anche dopo la sua morte tanto che diversi autori lo tenevano in considerazione, ad esempio Leopardi lo cita nel suo Zibaldone.

Cultura / La vita di Giovanni Meli tra medicina e poesia

Nato a Palermo il 6 marzo 1740 da madre spagnola e padre siciliano, Giovanni Meli dimostrò la sua vocazione poetica fin dall’età giovanile; frequentando il collegio dei gesuiti, già adolescente componeva poesie che gli faranno valere la nomina di socio della Accademia del buon gusto. Ma la sua prima opera degna di nota sarà la Fata Galante, scritta nel 1722, opera gradita ancora più delle sue opere giovanili tanto da essere stimato già da allora.

Giovanni Meli

Le disagevolezze familiari lo spingeranno a trovare un lavoro più remunerativo, studiando medicina presso l’Accademia degli Studi di Palermo dove due anni dopo conseguì il titolo diventando dottore. A questi anni si fa risalire il suo primo soprannome, abate Meli poichè girava con le vesti religiose mentre faceva il medico. Giovanni Meli ebbe un ruolo importante nell’ introduzione all’università di Palermo della chimica così come lo aveva concepita Lavoisier, il fondatore della disciplina. Dal 1780 divenne prima professore e poi socio onorario dell’Accademia di Siena e di quella peloritana di Messina; le accademie più importanti dell’Italia tardo settecentesca.

Ma durante tutti questi anni non aveva smesso di scrivere, tanto che nel 1787 pubblicherà un’altra importante opera, una raccolta di poesie intitolata Poesie Siciliane. L’opera fu così celebre che lo portò al Real Istituto più per la sua opera poetica che per la professione di medico.

Cultura / La poesia del siciliano colto alla corte del re 

Ma nonostante tutti questi riconoscimenti non visse una vita agiata. Infatti a carico suo e dei suoi fratelli c’era la sorella, che non poteva provvedere a sé poiché pazza. E oltremodo spesso lo stesso Meli aiutava anche alcuni sue conoscenze e amici in momenti di difficoltà. Per il poeta le condizioni migliori si presentarono durante le guerre napoleoniche che scacciarono dalla penisola il re, il quale fu costretto per ben due volte a riparare a Palermo. Pur con vari fallimentari tentativi, Meli riuscì ad ottenere l’attenzione del figlio del re, Leopoldo di Borbone, amante della letteratura, il quale conseguentemente lo rese noto all’intera corte. Da ciò ottenne una pensione annua nel 1810, la ristampa delle sue opere e una medaglia in suo onore ottenendo l’appellativo di Anacreonte siculo. Morì a Palermo il 20 dicembre 1815.

Cultura / L’importanza del dialetto siciliano nelle poetica di Giovanni Meli 

La sua poetica trattava della società del suo tempo. I tratti distintivi sono il con linguaggio satirico e soprattutto un siciliano colto epurato di ogni accezione volgare e popolare. Nella sua poetica il dialetto era elevato al pari delle lingue colte del tempo. Traeva  ispirazione dalla sua terra e i suoi abitanti che spesso, grazie alla professione di medico che lo aveva messo a contatto col popolo. A tal proposito il suo pensiero era oltremodo moderno, a volte definito pure uno dei più moderni siciliani del tempo. Pur distanziandosi dalle idee della rivoluzione francese, non disdegnava certi principi nuovi e innovativi. Li diffondeva si in maniera velata come educatore, si nelle sue opere (in quanto sovvenzionato dai nobili). Tra queste, le favuli morali, favole scritte in versi su ispirazione di Esopo contenute nelle sue Poesie Siciliane. Esponeva il proprio pensiero mascherandolo, per l’appunto, con gli animali delle favole.

Giuseppe Emanuele Russo