Secondo un sondaggio pubblicato sul “Journal of Medical Ethics”, circa un medico olandese su tre prenderebbe in considerazione una richiesta di suicidio assistito da persone con demenza a uno stadio iniziale, con malattie mentali o “stanche di vivere” per una grave patologia. Ecco il frutto della costante propaganda del suicidio assistito “altruistico”.
Stanchi di questa vita faticosa? Depressi? Soffrite di una malattia mentale? Se vivete in Olanda avete serie probabilità di trovare un medico che vi aiuti a lasciare questo mondo attraverso una qualche forma di suicidio assistito. Secondo un sondaggio pubblicato sul “Journal of Medical Ethics”, circa un medico olandese su tre prenderebbe in considerazione una richiesta di suicidio assistito da persone con demenza a uno stadio iniziale, con malattie mentali o “stanche di vivere” per una grave patologia. E sarebbe pronto ad aiutarle a morire. Il campione rappresentativo è quantificato in 2.500 sanitari olandesi, fra medici di famiglia e specialisti in assistenza agli anziani, cardiologia, medicina respiratoria, terapia intensiva, neurologia e medicina interna, tra ottobre 2011 e giugno 2012. Tra coloro che hanno completato il questionario (1.456 camici con un tasso di risposta del 64%), – ma i medici di famiglia che hanno risposto sono stati ben 9 su 10 – circa 3 su 4 (77%) avevano ricevuto da qualche paziente una richiesta di eutanasia. E le risposte lasciano sconcertati.
Con buona pace del Giuramento di Ippocrate, infatti, invece di aiutare a guarire chi si rivolge a loro, la maggior parte dei medici (86%) prenderebbe in considerazione l’opzione di accompagnamento definitivo, per la maggior parte dei casi in situazioni legate a una malattia oncologica, ma con uno preoccupante 34% che si dichiara pronto a far morire anche pazienti con una malattia mentale. Non solo, c’è anche un 27% (oltre 1 su 4) che si dice disponibile ad assecondare richieste che provengono da persone stanche di vivere in presenza di una condizione medica grave. “Ogni camice bianco” – ha commentato l’autore principale della survey, Eva Bolt dell’Emgo Institute for Health and Care Research di Amsterdam (Vu University Medical Center) – “ha bisogno di modellare il proprio punto di vista sull’eutanasia, sulla base di confini legali e valori personali. Consiglieremmo alle persone con questo desiderio di discuterne in tempo con il proprio dottore, mentre ai medici suggeriamo di essere chiari sul loro punto di vista al riguardo”.
Più chiari di così, verrebbe da dire, si muore. Una persona affetta da una malattia dolorosa, invalidante, lunga, difficile, ha tutto il diritto di essere scoraggiata, depressa e demotivata, ma se non può contare sull’aiuto qualificato di un medico per uscirne, se anzi l’idea del medico è quella di assecondare richieste di suicidio dei propri pazienti, dove vanno a finire i principi della tradizione terapeutica? L’immagine terribile che ci consegna questa ricerca è quella di una pattuglia di dottori che, chiamati a soccorrere un uomo indeciso su un cornicione, invece di fermarlo lo spingono giù. La depressione è una malattia terribile che mangia il cuore e la mente di chi ne è colpito. E spinge a fare pensieri neri, brutti, disperanti che, a volte , sfociano in atti di autodistruzione. Ma mai, in nessun caso, un medico dovrebbe abbandonare il paziente ai suoi demoni. E anche se dalle dichiarazioni di intenti alla pratica i numeri scendono, c’è già un 7% dei medici intervistati che ammette di aver davvero aiutato a morire una persona non affetta né da cancro né da altra malattia fisica grave.
Siamo bombardati da spot e da campagne promozionali che esaltano l’autodeterminazione assoluta a poter scegliere di porre fine alla propria vita quando e come si vuole. E le cronache ci dicono che basta solo passare il confine svizzero per morire “on demand”. Le vicende di Lucio Magri e Pietro D’Amico, che non soffrivano di alcuna malattia mortale, ma di un profondo stato depressivo per una serie di vicende personali, sono lì a dimostrarlo. Due casi noti, altri sicuramente meno, ma la verità (e il sondaggio olandese lo dimostra) è che la costante propaganda e applicazione del suicidio assistito “altruistico” sono riusciti nella bella impresa di trasformare la richiesta di aiuto a morire in una richiesta “normale”, come una ordinaria pratica medica. Se la malattia mentale, e la conseguente non piena consapevolezza delle proprie decisioni, diventano una condizione sufficiente per sopprimere chi chiede di morire, forse è il caso che tutti si fermino e riflettano su quanto la cultura della morte ci stia portando via il diritto alla vita. E alla felicità.
Emanuela Vinai