Ciccio si trova ormai in Tanzanìa da quattro mesi e mezzo, di cui più di tre trascorsi nel villaggio di Ismani. Ed è già tempo di bilanci e relazioni. La prima relazione bimestrale l’ha fatta alla fine di aprile e la seconda l’ha preparata alla fine di giugno. Nella prima parla di difficoltà iniziali e di problemi risolti e in fase di risoluzione, ma soprattutto parla di tanti progetti messi in cantiere e che a poco a poco, giorno dopo giorno, si vanno realizzando. Nell’ultima comunicazione che è riuscito a mandare, qualche settimana fa, esprime, con una serie di brevi frasi, le sue riflessioni sui primi tre mesi di attività nel villaggio di Ismani.
«Fase due, 3 mesi dopo…
…essere arrivati in un paese straniero a 9000 km di distanza e vivere da più di due in un villaggio fatto di una strada e qualche centinaio di persone…
…lavorare in un centro bambini di serie A con 41 “watoto” da zero a dodici anni, ma aver capito solo da qualche settimana quale dovrebbe essere il proprio ruolo all’interno di tutto questo…
…svegliarsi alle 6.30 con le campane della chiesa e coricarsi alle 22 perché la luce non c’è…
…lavarsi da qualche giorno con il secchio e la brocca, perché durante la stagione secca l’acqua piovana manca e quella che manda il governo, forse una volta a settimana, non basta…
…parlare una lingua diversa, farsi capire, buttarsi nei discorsi e fare il primo intervento durante la riunione dei lavoratori con il cuore a mille, il sudore che scende e il fiato che manca…
…mangiare ogni settimana ugali (polenta di mais), riso, fagioli e legumi vari, verdure miste, patate e banane che sembrano patate, uova, pesciolini secchi e puzzolenti e carne quanto basta…
…scontrarsi con le pratiche educative che si usavano da noi cinquant’anni fa o più e passare le proprie giornate a far vedere che un’alternativa c’è, è percorribile e può dare i suoi frutti…
…rendersi conto che basta una casa, un pezzo di terra e la chiesa per vivere, ed essere testimoni di una religiosità profonda che, come un tempo qualcuno la definì, è “l’oppio dei popoli” che riesce a farti evadere da una realtà fatta di sacrifici e farti immergere in una dimensione intima in cui vivere un vero rapporto di amore con Dio…
…constatare che ogni ragazza a vent’anni ha almeno un figlio e che il padre non c’è, non per forza perché è morto, ma perché non c’è e basta…
…entrare nella vita, nella quotidianità delle persone, conoscerne le difficoltà, le gioie e le preoccupazioni…
…ritrovarsi a dovere insegnare italiano al maestro che mosso da eccessivo zelo ed entusiasmo si è messo in testa di parlare italiano; proprio ora che ci si iniziava a capire ti devi sentire lui che farfuglia mezze parole incomprensibili… e vabbè…
…riuscire dopo tante fatiche a farsi ascoltare dai bambini che prima ti vedevano come unica valvola di sfogo su cui riversare tutte le loro fantasie più pericolose…
…dialogare con le mamme sul perché e sul come una cosa può farsi in un modo anziché in un altro e capire insieme come migliorare le cose…
…divertirsi insieme, con i bambini e con i grandi, scoprendo che il gioco unisce tutti e che passata la timidezza ci si fa delle gran sudate a correre e fare i giochi più fantasiosi…
L’Africa, la Tanzania è un grande paese con grandi problemi e tanta voglia di fare, con tanta gente che vuole fare…
…dopo 3 mesi questa esperienza per me è tutto questo e tanto altro…
…è vivere a 9000 km di distanza e sentirsi a casa!
Ciccio»
Sono dei brevi flash dai quali si deduce sicuramente un’attività frenetica, un lavoro di anni sintetizzato in soli tre mesi. Ed è molto bella la conclusione, sintomatica del grande spirito di adattamento con cui Ciccio si è messo totalmente a disposizione nel contesto in cui si trova, con gli altri e per gli altri.
Le comunicazioni di Ciccio sono sempre accompagnate da tante foto, una più bella dell’altra, una più significativa dell’altra: facce diverse, paesaggi diversi, contesti diversi, case diverse, colori diversi… Ma sono loro, diversi, o siamo noi?
Nino De Maria