Nell’ambito della settima edizione del Taobuk, il cui tema è stato “Padri e figli”, si è svolto un incontro con due figli “particolari”, poiché adottivi, di due grandissimi artisti del Novecento: Renato Guttuso e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Salvatore Ferlita ha intervistato gli ospiti Gioacchino Lanza Tomasi e Fabio Carapezza figli rispettivamente dell’autore del Gattopardo e del pittore siciliano. Più che di un intervista si è trattato forse di due interessantissimi lunghi monologhi.
Fabio Carapezza racconta di come lui e Renato Guttuso si conoscano a Palermo, durante la sua giovinezza, e di come il loro rapporto rimanga in quegli anni sempre mediato dalla famiglia di Fabio, in particolare dal suo padre naturale, grande amico del pittore. “Mi colpì moltissimo il fatto di vederlo piangere alla mia laurea, ma in un certo senso mi parve una reazione esagerata. Il nostro rapporto cambiò completamente nel momento in cui io mi trasferii a Roma. A quel punto Renato insisteva affinchè tutto il mio tempo libero lo passassimo assieme nel suo studio. Essere nel suo studio era un po’ come entrare ‘nell’antro del mago’ ” Carapezza utilizza più volte questa espressione.
“Le esigenze legate alla sua creatività e ispirazione, dettavano i tempi secondo i quali si svolgevano tutte le altre cose. La lettura dei quotidiani era un appuntamento fisso, ad esempio. Leggeva una notizia e ne parlavamo finchè lui avesse ritenuto opportuno farlo. Non poteva scindere la ragione politica e ragione civile.
Il suo studio era un luogo uscendo al di fuori del quale, ogni cosa, ogni persona, sembrava poco interessante se paragonata a lui. Ad esempio, lui aveva una personalità magnetica, motivo per cui se facevamo ingresso in un salotto, l’attenzione di tutti, dai bambini alle donne, veniva convogliata su di lui. Nel suo studio, la sera, c’erano quasi sempre ospiti diversi, che potevano andare dal Montale ad un’intera squadra di calcio. La pittura restava sempre la sua priorità e la tela bianca la sua ossessione, potremmo dire. Ogni cosa per lui passava in secondo piano di fronte alla pittura, persino le donne, che lui amava tanto e che come sappiamo, non sono mai mancate nella sua vita.”
Gioacchino Tomasi Lanza, era un lontano parente di Tomasi di Lampedusa, dal quale, sostiene sorridendo, ha imparato “l’arte di vivere essendo povero”. Tomasi di Lampedusa infatti, non godeva di una grande disponibilità economica negli ultimi anni della sua vita, ma sperava di rifarsi, nel momento in cui fosse morto lo zio. Al contrario, egli venne a mancare 5 anni prima dello zio. Giuseppe Tomasi diceva sempre “A Palermo ci sono 4-5 principi mendicanti, e io sono uno di quelli.” Secondo Gioacchino, il padre, nutriva un forte sentimento che potremmo definire “antisicilitudine”. Egli pensava che molta parte della sua povertà e del suo stato, fossero dovute al fatto che i siciliani sono pigri, e che poco si occupassero di come andavano le cose nelle altre parti d’ Europa.
Alla domanda sul perché questi padri abbiano deciso di adottare un figlio e perché, a questo punto abbiano scelto proprio loro, Gioacchino risponde “perché noi due ci divertivamo e divertirsi è 4/5 del piacere.” Fabio invece rispnde: “ogni artista vive per la gloria, per essere ricordato e teme che il significato della sua eredità possa essere mal interpretato, storpiato. Guttuso pensava che io fossi la persona giusta per preservare il suo autentico pensiero.”
Annamaria Distefano