Tasse / Chi paga e chi no: tre storie dell’Italia piena di furbetti da cortile

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Tre storie vere? Sicuramente verosimili, in un Paese che ha sempre fatto così. La risposta è sempre pronta: “Evasore? Io? Ma cominciassero a togliere gli stipendi d’oro, le auto blu, le rendite non dovute. Insomma, togliessero agli altri che (quelli sì) rubano, non a me che mi arrangio senza fare male a nessuno”.

C’è un’Italia che si impegna e una che si imbuca. C’è un’Italia che punta al meglio e una che preferisce vivere del peggio. C’è un’Italia che pensa al bene comune e una che pensa prima di tutto al proprio. Non occorre scomodare Ennio Flaiano e le sue definizioni dell’italianità, dell’essere italiani, dell’essere il popolo più versatile, ingegnoso e pronto a tutto pur di salvaguardare il proprio orticello, per specchiarsi in una parte d’Italia di oggi. Basta non farsi distrarre dagli alti e quotidiani lai che si alzano da ogni angolo contro lo strapotere e i privilegi della cosiddetta Kasta, e abbassare invece lo sguardo molto più dappresso per rendersi conto che, ancora una volta, si indica lontano per impedire di guardar vicino. Inondati da lettere ai giornali che lamentano la mancata emissione della fattura da parte di categorie professionali statisticamente in testa alle lamentazioni popolari, proviamo ad accendere la luce in stanze più piccole e più alla portata. Tra i molteplici e variegati esempi forniti da una realtà quotidiana che riesce a scrivere sceneggiature monicelliane, ne scegliamo tre, diversi per modalità ma che ritrovano il loro minimo comune multiplo nella dichiarazione d’innocenza dei protagonisti. tasse - Copia

Un lontano parente, disoccupato, ha trovato lavoro in un bar del piccolo centro cittadino. Dal pomeriggio a chiusura a notte fonda, sei giorni su sette, stipendio più che dignitoso, arrotondabile grazie a serate in cui il locale diventa una discoteca. Una storia di rientro in occupazione andata a buon fine? Beh, insomma, non proprio: tutto è “in nero” e l’usanza è così diffusa che non c’è timore alcuno di possibili visite sgradite da parte di chi dovrebbe controllare che certi abusi non si perpetuino. Ma, parole sue, meglio così: lo stipendio è più alto e, in fondo, non è mica per un bar di provincia che l’Inps collassa.
Una conoscente è la titolare di un’avviata attività di parrucchieri. Tutto in regola, salone rinnovato spesso, dipendenti numerosi e assunti con tutte le carte in regola, caffè e caramelle offerte tra una tinta e un taglio, clientela folta e affezionata. Non fosse che, al momento del pagamento, si scopre che si accettano solo contanti senza quel fastidioso ingombro del bancomat. E la ricevuta? C’è, ed è pur compilata e consegnata, salvo che all’atto pratico subisce invariabilmente una decurtazione più o meno sostanziosa (dipende dalla confidenza) dell’importo complessivo. Ma, parole sue, meglio così: le clienti non si sono mai lamentate e, in fondo, non è mica quella manciata di euro che fa la differenza.
Infine ecco i due arzilli pensionati ritiratisi in campagna. La pensione non è male però, dopo un paio di battute scherzose, si sono resi conto dell’esistenza di una nicchia che poteva essere utilmente sfruttata e hanno trasformato la convivialità in business, con un collaudatissimo servizio di trattoria casalinga. Nel senso che si mangia proprio in casa loro e ai fornelli sta la padrona di casa, casalinga appunto. L’attività si muove florida nel sottobosco, grazie al passaparola tra amici disposti a rivelare numero di telefono e indirizzo del desco solo a nominativi di comprovata fiducia che meritino di divenire affiliati di questa carboneria dei rigatoni fiammeggianti. Ma, parole loro, meglio così: l’attenzione alla qualità è massima e, in fondo, anche alcune autorità locali apprezzano la cucina della signora.
Più che di furbetti del quartierino qui siamo ai furbetti da cortile, il cui meccanismo di autotutela scatta inesorabile al ricordare che, invece, al tuo stipendio da dipendente non viene risparmiata alcuna vessazione: “Evasore? Io? Ma cominciassero a togliere gli stipendi d’oro, le auto blu, le rendite non dovute. Insomma, togliessero agli altri che (quelli sì) rubano, non a me che mi arrangio senza fare male a nessuno”.
Scarico delle responsabilità e benaltrismo (diffusa patologia che sottolinea come i problemi siano sempre “ben altri!”) si confermano due sport molto praticati nel nostro Paese. Vista la nota candidatura italiana per il 2024, vorremmo avere fondate rassicurazioni e ragionevoli speranze che non vengano innalzati a disciplina olimpica.

Eleonora Aquitani

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