Il quotidiano britannico Daily Telegraph ha messo in guardia dai rischi per i più piccoli legati al proliferare di app con slot machine, roulette, poker, in cui appaiono i personaggi dei cartoni animati. Si inizia accumulando bonus e punti e si finisce poi a impiegare soldi per comprare monete virtuali. Sul fenomeno abbiamo chiesto un parere a Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente onorario di “And – Azzardo e dipendenze”.
Una volta i bambini giocavano a Monopoli. Oggi i tempi sono cambiati e i nostri piccoli, nativi digitali, possono giocare con un’app, Monopoly Slots, in cui viene promesso di far provare “l’eccitazione delle slot machine di Las Vegas”. A denunciare l’esistenza di centinaia di app per indurre i bambini a giocare d’azzardo gratis è il quotidiano britannico The Daily Telegraph, che segnala come Facebook, Google e Apple offrano ai più piccoli, anche di soli 4 anni, app con slot machine, roulette, poker, in cui appaiono i personaggi dei cartoni animati. Più la dipendenza aumenta, più i giochi diventano a pagamento con i bambini che chiedono ai genitori soldi per comprare monete virtuali. A Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente onorario di “And – Azzardo e nuove dipendenze”, chiediamo un parere sul fenomeno.
Dottoressa, davvero queste app sono pericolose per i bambini?
Purtroppo sì. Si tratta di una tecnica di condizionamento e avvicinamento al consumo e alla dipendenza studiata a tavolino,
basata sui meccanismi di condizionamento classico di Pavlov e operante di Skinner che si poggiano su schemi di rinforzo con vincite intermittenti e imprevedibili erogate con più modalità: per gli adulti quelle economiche, per i bambini accumulo di punti o bonus e passaggi di livello nel gioco.
In queste app per bambini sono utilizzati personaggi dei cartoni animati…
Certamente il rischio di queste app sta anche nel fatto che vengono utilizzati dei simboli noti ai bambini e anche ai genitori.
Infatti, i bambini sono portati maggiormente a giocare laddove ci sono personaggi noti e i genitori, che si allarmano quando percepiscono una differenza con l’attività ludica ordinaria, anche se sono attenti, non percepiscono la differenza con quanto già noto e vagliato come può essere un personaggio di un cartone animato. In più, molto spesso c’è un digital divide tra le diverse generazioni: i bambini hanno molta più dimestichezza con gli ambienti virtuali del web e dei telefonini rispetto ai genitori, per non parlare dei nonni, con cui trascorrono molto tempo. Questo è un ulteriore fattore di rischio e anche di limitazione di intervento preventivo.
Cosa possiamo consigliare ai genitori contro questi pericoli?
L’unico consiglio è stare a fianco dei bambini quando compiono questo tipo di attività,
che non vuol dire il controllo sterile, ma quella vigilanza attenta, quel fare insieme che permette di comprendere l’attività svolta dal proprio figlio.
Ma oggi è difficile, visto che sempre di più tutti e due i genitori lavorano, per gran parte della giornata…
È vero: nella società odierna questo è molto difficile. Inoltre, non c’è più un patto educativo e di protezione dei minori con una comunità unita che ha delle norme etiche che tutelino i bambini. È stato sfondato un confine che era quello di proteggere e tutelare l’infanzia in maniera attiva. Sarebbe molto semplice porre dei divieti rispetto a questo tipo di giochi e di app. Se non viene fatto vuol dire che non è più interesse della collettività tutelare i minori da questo tipo di situazioni. È un passaggio epocale che si è compiuto, altrimenti non sarebbe pensabile di esporre i bambini così a dei rischi. Un tempo si giocava a monopoli, o gioco dell’oca, giochi che seppure erano fatti dai bambini da soli senza una supervisione adulta non costituivano un pericolo o un rischio, oggi bisogna guardarsi le spalle.
La situazione è ancora più grave in un tempo in cui il genitore è meno presente perché lavora e ha mille attività e, dunque, questa vigilanza spesso mancherà.
E diventa anche un po’ anticostituzionale perché chi può permettersi un accompagnamento diretto, ad esempio una mamma che può seguire un bambino, può avere una marcia in più rispetto a chi è costretto per ragioni anche economiche a dover lavorare tutto il giorno. Si aprono tanti profili di criticità.
La scuola può aiutare?
La scuola potrebbe avere un ruolo, ma se il resto della vita del bambino si svolge senza una vigilanza non basta. Non si tratta solo, infatti, di conoscere e di informare. Al di fuori della supervisione di genitori competenti e senza una prevenzione strutturale, fatta con norme e regolamenti, si cerca di prendere il mare con un cucchiaino.
Gli stessi genitori dovrebbero essere formati, da personale esperto, per comprendere i rischi e avere dimestichezza con web e app.
Contro i grandi colossi del web cosa si può fare?
Servirebbe una recuperata cultura dell’infanzia che purtroppo sta scemando.
Al di là dei tanti proclami, c’è trascuratezza sulle basi educative importanti e sull’emanazione di norme e regolamenti che abbiano a cuore la protezione dell’infanzia. Inoltre, nessuno ricorda che quando c’è un adulto in casa con problemi di azzardo, ci sono dei bambini che vivono di riflesso il dramma, vittime passive del giocatore d’azzardo patologico. La maggioranza dei giocatori patologici sono tra i 35 e i 50 anni, soprattutto uomini ma anche donne, che molto probabilmente avranno dei figli minori. E, quando c’è un problema di azzardo, ci sono liti, conflitti, denaro che viene a mancare anche per le cose essenziali, separazioni, divorzi, trascuratezze per i bambini. Questo aspetto nel dibattito sul gioco d’azzardo viene completamente trascurato: questo ci dice che o c’è ignoranza e cecità o c’è malafede ai danni dei più fragili.
Gigliola Alfaro