“Nessuno si salva da solo”. Sono le parole di Papa Francesco, pronunciate nel momento straordinario di preghiera per la pandemia lo scorso 27 marzo. Un’espressione che ritorna con grande intensità nel documentario “Tutto il mondo fuori” di Ignazio Olivia, un viaggio con don Marco Pozza nel cuore della comunità del carcere di Padova “Due Palazzi”, uno spazio sì di detenzione ma anche di recupero della persona, di rinascita alla vita, grazie a numerosi progetti di formazione.
Il documentario, promosso da monsignor Dario Edoardo Viganò e prodotto da Officina della Comunicazione, sarà in prima tv assoluta sul canale Nove, mercoledì 13 maggio alle 21.25, dopo un passaggio sulla piattaforma Dplay Plus. La Commissione nazionale valutazione film della Cei e l’Agenzia Sir lo hanno visto in anteprima, raccogliendo la testimonianza del regista Ignazio Oliva e di don Marco Pozza.
Credere nella resurrezione dei viventi
“Oltre la letteratura del carcere. Il nostro obiettivo è raccontare la comunità all’interno del penitenziario”. È quello che ci dice subito don Marco Pozza, giornalista e scrittore, ma soprattutto sacerdote brillante e schietto che ha fatto della pastorale carceraria la sua missione. Lui, che abita quotidianamente corridoi e celle del carcere “Due Palazzi” di Padova – un modello avanzato e imitato nella gestione penitenziaria al pari di Bollate, per la messa in campo di attività di formazione e di professionalizzazione –, ci dice con grande incisività: “La vera fatica oggi è credere nella resurrezione dei viventi. Questo film condivide il privilegio di anni di sacerdozio che ho vissuto in carcere, dalla parte degli sconfitti. Tutto ha preso forma mentre stavo lavorando alle meditazioni delle Via Crucis per papa Francesco, realizzate con la comunità del carcere di Padova. Con il doc ‘Tutto il mondo fuori’ abbiamo capito che avevamo l’opportunità, proprio come per la Via Crucis, di mostrare una storia di speranza”.
Non uno sguardo sul singolo, rimarca don Pozza: “Non è il racconto di un prete in un carcere, bensì di una comunità. E in questo il regista Ignazio Oliva ha fatto un lavoro eccellente. L’obiettivo era condividere la quotidianità dentro le sbarre, con uno sguardo altro. Una visione cui ha preso parte anche la direzione stessa del penitenziario. Come ha detto papa Francesco il 27 marzo, ‘nessuno si salva da solo’. A ben vedere, la sfida che ogni giorno ci proponiamo qui dentro è quella di aiutare i detenuti a non contare i giorni che mancano, ma a vivere la sofferenza nel momento. E sempre nel momento cogliere tracce di futuro”.
Una scintilla nata dal set di Wim Wenders
“L’idea di questo documentario è nata un po’ sul set del film di Wim Wenders su papa Francesco, con l’incontro con don Dario E. Viganò, e anche nei miei reading in carcere a Roma”. Confida Ignazio Olivia, noto interprete di cinema e serie Tv – tra i suoi lavori, oltre a quello con il regista tedesco, si ricordano “Io ballo da sola” di Bernardo Bertolucci, “The Young Pope” di Paolo Sorrentino o la serie “Braccialetti rossi” di Giacomo Campiotti –, da sempre vicino ad attività benefiche e di impegno sociale (per l’Africa con la Ong Amani).
“Tutto il mondo fuori” mette a tema l’articolo 27 della Costituzione, in particolare il passaggio in cui si ricorda che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”.
E questo articolo della Costituzione è un vero e proprio tarlo per il regista Oliva, che afferma: “Le letture dei testi di papa Bergoglio che ho tenuto in carcere mi hanno fatto scattare qualcosa dentro, facendo riaffiorare anche i miei studi in Scienze politiche. Ho condiviso questo desiderio con don Dario, che subito mi ha messo in contatto con don Marco Pozza così come con il team produttivo di Officina della Comunicazione, Nicola Salvi ed Elisabetta Sola. Il mio proposito era quello di mostrare il mondo del carcere con uno sguardo positivo, aperto alla speranza, storie di riscatto da emulare”. Presi quindi i contatti con la direzione del carcere di Padova, prosegue Oliva, “ho deciso di trascorrere un’intera settimana dentro la struttura. Un modo per capire meglio, per dare voce alle storie dall’interno, facendomi anzitutto conoscere e accettare, stabilendo insomma un patto fiduciario con tutti: detenuti, educatori, agenti e direzione”.
Dura 75 minuti il documentario “Tutto il mondo fuori”, esattamente come “Cesare deve morire”, meraviglioso film del 2012 di Paolo e Vittorio Taviani, Orso d’oro al Festival di Berlino: il racconto della messa in scena dell’omonimo spettacolo di William Shakespeare all’interno di Rebibbia. Il film di Ignazio Oliva va esattamente in questa direzione; e lungo questa direttrice in un certo senso fa anche un passo in avanti, oltre il guadagno dei Taviani.
In “Cesare deve morire”, infatti, assistiamo al miracolo dell’arte e della cultura, che toccano il cuore dell’uomo e lo predispongono al cambiamento. Qui in “Tutto il mondo fuori” si racconta qualcosa di più, storie di salvezza che passano dalla formazione e dal lavoro. Attraverso tre detenuti (Fabio, Alfredo e Ben Mohamed), tre vicende di umanità sbandata e ferita, Oliva e don Pozza ci mostrano come – senza fare sconti a reati e a responsabilità – si possa squadernare con pragmatismo l’orizzonte del cambiamento, della rinascita alla vita.
L’apprendere un mestiere e il suo esercizio in carcere, grazie al sostegno della struttura e al lavoro di cooperative sociali (a Padova sono la Work Crossing per la ristorazione e la polisportiva “Pallalpiede”), può incentivare seriamente la ripresa della propria esistenza, ancor prima di ritrovare la libertà fuori dalle sbarre.
È una libertà interiore, che passa in primis dalla riconciliazione personale
come pure dall’accettare un aiuto, una mano salda per rimettersi in piedi. Ancora una volta, le parole di papa Francesco, “nessuno si salva da solo”. E ce lo ribadisce con chiarezza anche il direttore del carcere “Due Palazzi”, Claudio Mazzeo, indicando come le misure alternative riducano del 70% la recidiva nei detenuti.
“Tutto il mondo fuori” si rivela un documentario di impegno civile, senza una graffiante carica di denuncia, ma con un solido sguardo educativo. Il film ci accosta al mondo delle carceri senza ricorrere a retorica, pietismi o stereotipi. Quello che compone Oliva è un racconto asciutto, puntuale e onesto, rispettoso della comunità carceraria tutta. Un racconto marcato anche da poesia, quella che si compone sui volti di un’umanità ferita, dispersa, ma in ultimo ritrovata. Storie di umana salvezza. Dal punto di vista pastorale, il film è consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.
Sergio Perugini