L’anno liturgico, con la sua scansione temporale, fa sì che lo scorrere inesorabile del tempo (Kronos), si trasformi in evento di grazia (Kairos). Nell’annuncio del giorno di Pasqua, che siamo soliti compiere nel giorno dell’Epifania, si legge: “nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza”.
Da ciò si evince il valore della temporalità, quale fattore determinante per la celebrazione del mistero di Cristo che durante l’anno celebriamo.
Il tempo liturgico del Natale inizia con la celebrazione dei primi Vespri del 24 sera (al tramonto della giornata) e si conclude con la Festa del Battesimo del Signore. In questo tempo la Chiesa guarda e celebra il mistero dell’Incarnazione dalla manifestazione a Betlemme, all’adorazione dei Magi, alla Teofania del Giordano.
La “querelle” che in questi giorni ha accompagnato la decisione della CEI di celebrare la messa “nella notte” (non di mezzanotte!) di Natale, in funzione del “coprifuoco” indicato dal DPCM, rasenta, a mio modesto parere una “puerile” concezione del tempo e una ignoranza della liturgia, anche e soprattutto da quanti, “fautori dei sacri riti”, restano distanti dal senso teologico della liturgia.
La celebrazione del Natale il 25 Dicembre è stata scelta per contrapporre la festa pagana del “sole invictus”. Alla divinità del sole, che in questo periodo del solstizio di inverno inizia a crescere nell’arco della giornata, la liturgia contrappone Cristo, luce del mondo, che rischiara le tenebre e inonda di luce il mondo intero. Sicuramente Cristo non è nato il 25 Dicembre, i Vangeli – infatti – non parlano di “neve”, di freddo o di intemperie tipiche del tempo invernale, ma di pastori che vegliavano di notte il gregge (realtà impossibile durante l’inverno), i quali “avvolti di luce dalla gloria del Signore” diventano i primi destinatari della nascita del Salvatore (Lc 2,8 e ss).
Ricorda saggiamente il padre Edward McNamara, L. C., in suo articolo: “Il Natale come festa liturgica che cade il 25 dicembre di ogni anno, è nato a Roma, intorno al 330, forse proprio in quell’anno. Molto probabilmente la festa fu celebrata per la prima volta nella basilica di San Pietro, appena completata. Da Roma la celebrazione del Natale si è diffusa poi lentamente nelle province orientali dell’Impero Romano e, a poco a poco, è stata inserita nel calendario liturgico delle principali chiese. Alcune di queste chiese celebravano la nascita di Cristo il 6 gennaio – l’Epifania – e hanno continuato a dare più importanza a questa data, anche dopo aver accettato il 25 dicembre. Durante tutto questo periodo, la Chiesa a Gerusalemme aveva sviluppato alcune usanze particolari. Egeria, una donna che fece un lungo pellegrinaggio in Terra Santa dal 381 al 384, ha descritto nel suo Itinerarium come i cristiani di Gerusalemme commemoravano il mistero del Natale il 6 gennaio con una veglia di mezzanotte a Betlemme, seguita da una fiaccolata verso Gerusalemme, che finiva all’alba nella Chiesa della Resurrezione (Anastasis in greco). Cinquant’anni dopo a Roma, papa Sisto III (432-440) decise di onorare la proclamazione della maternità divina di Maria al Concilio di Efeso (431), con la costruzione della grande basilica di Santa Maria Maggiore sul colle Esquilino. Sisto III fece costruire, inoltre, una cappella che riproduce la grotta di Betlemme (Le reliquie del Presepio, finora conservate nella basilica di Santa Maria Maggiore, furono collocate nella cappella solo nel VII secolo). Probabilmente ispirato dall’usanza della veglia di mezzanotte celebrata a Betlemme, lo stesso pontefice Sisto III instaurò la tradizione di una Messa di mezzanotte celebrata nella cappella della “grotta della Natività” (cfr https://it.zenit.org/2012/12/21/le-tre-messe-del-natale/ ).
L’anticipazione della Messa nella serata del 24 Dicembre non prevede un “parto cesareo” come qualcuno, sarcasticamente, ha scritto, né sovverte alcun principio dottrinale. E’ solo una tradizione cara al popolo cristiano a cui quest’anno, a motivo della pandemia in atto, ci è chiesto di rinunciare. Non è sottomissione alle normative dello Stato, ma compartecipazione piena alla difesa e alla tutela della salute di tutti. Ricordiamo che il nostro corpo “è tempio dello Spirito Santo”(1Cor 6,19) e difendere e preservare la salute è un dovere del cristiano, perché solo attraverso una buona condizione fisica, esente da malattie, egli puç impegnarsi nell’evangelizzazione (cfr Praenotanda al Rito dell’Unzione degli Infermi).
Celebreremo lo stesso il mistero della nascita del figlio di Dio, dinanzi a Lui, Dio-con-noi, ci inginocchieremo in atto di adorazione e, supplichevoli, chiederemo la fine della pandemia, il conforto per tutti gli ammalati, il riposo eterno per i fratelli e le sorelle che a motivo del virus hanno concluso la loro vita e con gratitudine pregheremo cosi’: “O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana” (Colletta della messa del giorno di Natale).
Don Roberto Strano