Il Buon Pastore è una tra le icone più antiche, risalente all’arte paleocristiana. Come già è noto, l’arte cristiana prende la simbologia dell’arte romana facendola “sua” ed attribuendo ad essi significati cristologici, evangelici e propri del cristianesimo. Il Buon Pastore è raffigurato con una pecora sulle spalle, che voleva rappresentare Cristo salvatore e l’anima che egli si accingeva a salvare. Pastore e pecore sono immagini comprensibili a tutti, semplici e prese dal mondo comune che dicono qualcosa a tutti.
Gesù dice di esser il “Buon Pastore” nel passo di Gv 10,1-16,. Saltano subito all’attenzione due particolari: il contrasto con i falsi pastori e la relazione di fiducia con il gregge. A differenza dei mercenari, che scappano quando vedono un lupo arrivare, Egli non abbandona le sue “pecore”.
Dicendo “Io sono il Buon Pastore” indica se come l’opposto dei cattivi pastori di Ez 34. Le chiama per nome cioè le accompagna, le incoraggia a camminare sulla via e lo conoscono. Il pastore dà la vita per le sue pecore. Buono in questo contesto è sinonimo di vero. Il pastore è colui che sta con le pecore fino ad “averne l’odoro addosso”.
Per gli operatori pastorali questo passo può esser un punto fermo: è un invito a non esser falsi pastori, a non ridursi a fare una professione ma a considerare la vita pastorale come una missione, a conoscere e a farsi conoscere, a lavorare affinché il gregge sia unito, a camminare insieme, a pensare ai più lontani.
Riccardo Naty