La quasi totalità dei luoghi di culto colpiti dal sisma del 24 agosto sono inagibili. Una task force della diocesi sta mettendo a punto un progetto di salvaguardia delle strutture e dell’ingente patrimonio artistico e culturale in esse contenute. È una corsa contro il tempo, con la stagione invernale alle porte e le prime piogge. Proteggere queste opere vuole dire anche proteggere l’identità di un popolo, con le sue tradizioni e la sua fede, che trova nella chiesa, intesa anche come luogo fisico, “balsamo e consolazione”. La testimonianza di Ileana Tozzi, direttrice del Museo diocesano di Rieti.
Scavare tra le macerie per riportare alla luce anche identità e senso di appartenenza. Il terremoto non può e non deve colpire, dopo le persone, i loro cari e i loro beni, anche la storia, le tradizioni e l’identità di una popolazione. Tanto più se questa identità si lega a doppio filo con la presenza, anche fisica, della Chiesa. Ecco allora una piccola task force incaricata di verificare lo stato di chiese e cappelle, di ritrovare e disseppellire affreschi, opere d’arte come statue, tele e arredi sacri che il terremoto ha ricoperto di macerie e detriti. Ileana Tozzi è direttrice del Museo diocesano di Rieti, con una grande esperienza alle spalle avendo già operato in analoga situazione nel sisma del 1997, in Umbria e Marche, e in quello de L’Aquila del 2009.
Piano di intervento. “Buona parte dei luoghi di culto nelle zone toccate dal terremoto del 24 agosto scorso sono inagibili”, conferma Tozzi. Si parla di oltre venti edifici di grande pregio artistico e religioso, ricchi di opere d’arte. In gran parte affreschi conservati nelle chiese di Santa Maria di Filetta, di San Francesco, di Sant’Agostino e di San Martino in Moletano, tutti lesionati dal sisma. La chiesa della parrocchia di santa Maria, a Torrita, è praticamente un cumulo di macerie.
Da subito dopo la scossa, la direttrice ha cominciato il monitoraggio del patrimonio del museo diocesano dove, tra le altre cose, è conservata una preziosa statua della Madonna prodotta dalla bottega di Silvestro dell’Aquila. Un lavoro che vede anche la presenza del personale specializzato del ministero alle Infrastrutture e del Genio civile. Obiettivo creare un database con tutte le schede delle opere conosciute sin da prima del sisma che verranno poi messe a confronto con quanto è rimasto in piedi. È un passo fondamentale, spiega Tozzi, per “elaborare un piano efficace di intervento. Tra le prime misure che adotteremo quella di dotare di coperture provvisorie gli edifici lesionati e privi di tetto, così da evitare ulteriori danni provocati dalle piogge e dalle nevicate che in queste zone sono frequenti in inverno. Questo vale soprattutto per quei luoghi inagibili dai quali è impossibile portare via oggetti d’arte amovibili. Interventi da programmare e mettere in campo prima possibile”. I beni amovibili, dichiara, “saranno messi in sicurezza nella scuola Forestale di Cittaducale come indicato dalla Dicomac”, la Direzione Comando e Controllo di Rieti, che ha il compito di promuovere l’attuazione degli indirizzi e delle indicazioni operative del Capo del Dipartimento della Protezione Civile e opera in raccordo con i centri operativi e di coordinamento attivati sul territorio.
L’impegno della Diocesi è a tutto campo. “Per interventi di somma urgenza potremo contare sul Ministero e anche noi, come diocesi, non ci tireremo indietro. Le nostre risorse sono limitate ma illimitato è l’impegno a supporto del nostro patrimonio”. Che non è solo artistico e culturale ma anche religioso. Via libera, quindi, a iniziative volte a raccogliere fondi grazie a incontri aperti alla popolazione, promosse di concerto con il Museo Civico di Rieti. “Lo sforzo principale – spiega la direttrice del Museo diocesano di Rieti – è lavorare al recupero e alla valorizzazione del patrimonio artistico, religioso e culturale affinché anche l’interesse verso la popolazione e le opere che fanno parte delle sue radici resti alto”.
La preoccupazione di Tozzi, “non è tanto per l’immediato quanto per quello che potrà accadere da qui a qualche settimana quando le luci delle tv e dei media si spegneranno. La storia ce lo insegna”. “Salvaguardare il patrimonio per non tagliare le radici con questa terra è fondamentale per la nostra gente – ribadisce l’ispettrice -. Secoli fa quando si verificavano i terremoti i primi edifici a essere ricostruiti erano le Chiese. Oggi il criterio di fondo è ragionevolmente invertito, prima le attività produttive, poi le abitazioni e infine le chiese.
Ma la gente qui continua a ritrovare la propria identità nella chiesa, luogo dove si battezzano i neonati e si congedano i defunti”.
I funerali del 30 agosto e le polemiche che ne sono seguite per stabilire dove celebrarli dice bene questa relazione forte della gente di Amatrice e Accumuli con la propria terra.
“Volontà di restare”. “Tutti i giornali in questi giorni hanno raccontato la volontà delle donne e degli uomini di Amatrice e Accumoli di restare – afferma David Fabrizi, direttore dell’ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Rieti –, nonostante il dramma che stanno vivendo, sono ancora innamorati delle loro montagne. È una scelta importante per tutti. Vuol dire che seguiteranno a presidiare territori fragili, a rendere attuali le tipicità agricole e alimentari, a custodire le tradizioni, gli stili di vita e la comunità. Una forma di resistenza che li accomuna a tutti i cittadini che ancora scelgono di vivere nelle zone rurali. Pure se oramai si presentano come piccole isole lontane, aliene alle rotte delle grandi navi”. “L’identità passa anche attraverso la presenza fisica, affettiva, emotiva della Chiesa – conferma Tozzi – servono segni, oggetti e simboli dell’identità e abbiamo un dovere in più per fare in modo che questa popolazione possa riappropriarsi di ciò che le appartiene. Ritrovarsi in un luogo come la Chiesa per un popolo segnato dal dolore di una tragedia è balsamo e consolazione”.
Daniele Rocchi