Per capire le guerre è necessario ascoltare chi le ha vissute e ne conserva il ricordo dentro. Capire come la guerra si dirama nella quotidianità, come vi si insedia prepotente è quello che ci ha permesso di comprendere Ahmed (nome di fantasia), profugo siriano arrivato in Italia tramite i corridori umanitari, durante l’incontro sul conflitto in Siria.
Ahmed, può raccontarci come è stato per lei il processo di integrazione in Italia, come è venuto a conoscenza della possibilità dei corridoi umanitari ?
Inizialmente si sono presentate alcune difficoltà a causa delle diverse culture e delle diverse lingue. Ma col passare del tempo la vita è migliorata e ho iniziato ad integrarmi di più e meglio con la società italiana.
Come vede l’informazione in Siria in merito al conflitto in corso e come vede la resistenza? E se è fatta, da chi? E ancora, se c’è la resistenza, quanto le generazioni più giovani si vedono coinvolte in questo?
Le informazioni sulla guerra sono molto scarse perché il regime siriano, dall’inizio della rivoluzione, ha lavorato duramente per fermare molti media internazionali e impedire ai giornalisti di entrare nel territorio siriano. I giornalisti sono stati arrestati e, tranne alle autorità che hanno sostenuto il regime, a nessuno è stato permesso di entrare in Siria.
Molti attivisti hanno coperto gli eventi nei minimi dettagli, ma purtroppo insieme ai giornalisti, sono stati oggetto di repressione da parte del regime.
Ho partecipato alle proteste della rivoluzione siriana contro Bashar al-Assad con milioni di giovani siriani liberi che hanno lavorato duramente per cambiare il regime con mezzi pacifici. Dopo ho dovuto arruolarmi nell’esercito siriano per il servizio obbligatorio, ma alla prima occasione l’ho lasciato perché non ero d’accordo a partecipare allo spargimento di sangue di nessun essere umano. Così ho subito l’arresto e la prigione per quasi sette mesi, ho lasciato la Siria, dirigendomi verso il Libano attraverso le montagne.
Ahmed, secondo lei c’è una percezione non esatta in Occidente del conflitto in Siria?
Sì, in Occidente c’è una percezione piuttosto distorta del conflitto.
Parlo chiaramente della società in cui adesso vivo. Ma so anche di molti amici che vivono in diversi paesi europei e mi dicono che molti occidentali non sanno nulla del conflitto in corso. Sanno solo che c’è una guerra, ignorano perché sia scoppiata. Parlo delle persone e non dei governi: tutto ciò è dovuto agli apparati di sicurezza del regime che hanno impedito a molti media internazionali di essere presenti in Siria per riportare la notizia di questa guerra contro il popolo siriano.
Durante il dibattito, lei diceva che la guerra è mancanza di sogni e che la pace è la possibilità di pensare a dei progetti. Quanto è utopico per lei sperare nella risoluzione del conflitto?
In guerra, una persona non può pensare al futuro perché la paura la domina sempre. Scene di uccisioni e distruzioni, sentire il rumore di proiettili e aerei ogni giorno rendono una persona incapace di fare qualsiasi cosa. Quando sei in guerra pensi solo se resterai vivo o morirai, se verrai arrestato o imprigionato, se mai avrai una possibilità di lasciare il tuo paese. Se mai arriverà la pace sarà naturale pensare al futuro, facendo spazio nella propria vita alla speranza.
Giulia Bella