Tra i vari pensieri che vengono in mente, quando sei colpito dal Covid-19, probabilmente il primo è: “Il Covid esiste veramente!”, cui segue subito dopo: “Ma allora non è una semplice influenza!”. Anche chi, come me, lo ha preso in una forma non troppo invasiva – sebbene con febbre, forti mal di testa, perdita di gusto e olfatto, spossatezza… – deve comunque riconoscere che gli effetti sono più intensi e più difficili da mandare via rispetto alle consuete influenze stagionali. Ora, incrociando le dita, dovrei essere prossimo alla guarigione, ma intanto sono trascorse due lunghe e faticose settimane di isolamento, in cui i sintomi del Covid mi hanno tenuto, mio malgrado, una “vivace” compagnia. Quindi, alla faccia di negazionisti e di banalizzatori (“Ma sì, è come un raffreddore!”), il Covid esiste davvero e, sebbene in tanti casi sia asintomatico, in altri colpisce e colpisce duro: penso anche alle notizie dirette giuntemi da miei confratelli affetti dal morbo. Non mi stupisco affatto che nel fisico di una persona anziana o segnata da altre patologie possa condurre a complicazioni e in alcuni casi alla morte.L’altro ordine di pensieri va al sistema sanitario. Per quanto lunghe possano essere le code ai drive-in per i tamponi, credo dobbiamo comunque ringraziare il nostro sistema sanitario – sia a livello nazionale sia a livello regionale – per come ha gestito e sta gestendo la situazione. Penso ancora una volta a tutti gli operatori sanitari coinvolti cui va il mio personale ringraziamento. Ringrazio anche il mio medico di base e insieme a lui tutti gli altri, che in queste settimane – al di fuori dell’orario ambulatoriale – tramite telefono, messaggi, email… tengono monitorati i casi di Covid e permettono loro di ricevere cure adeguate senza andare ad ingrossare le file dei ricoverati in ospedale.
Un terzo pensiero va ai mezzi di comunicazione di oggi. Penso al cellulare, a internet e a whatsapp in particolare: si rivelano strumenti preziosi per attenuare il peso dell’isolamento e, nel limite del possibile, consentono di seguire progetti e attività che hanno una certa urgenza. Benedette anche le video conferenze!
C’è anche un versante “interiore”, che va illuminato. Per una persona che si scopre malata di Covid, penso alla mia esperienza, si impongono ben presto alcune emozioni piuttosto forti. La prima è certamente un senso di colpa per il fatto di essersi ammalati: “Dove accidenti sono andato a prenderlo? Eppure mi pare di aver preso tutte le precauzioni: gel per le mani, mascherina…”. Ci si sente in colpa per essere stati in qualche modo leggeri o non sufficientemente attenti, perché evidentemente le attenzioni messe in campo non sono state adeguate. Il secondo sentimento che compare ben presto è quello di una certa angoscia: “E adesso che sono positivo, posso contagiare chi mi sta accanto…”. Un sentimento che assume le connotazioni dell’orrore, pensando alle conseguenze che la trasmissione potrebbe avere sulle persone care con cui si è soliti intrattenere relazioni, in particolare quelle di una certa età, o sui propri collaboratori al lavoro o in parrocchia. Tale profonda ansia si stempera soltanto dopo alcuni e interminabili giorni, quando giunge finalmente la notizia della negatività del tampone di queste persone. Al contempo la possibilità di avere un luogo adeguato dove poter trascorrere l’isolamento diventa anch’esso un sollievo e una liberazione.
C’è poi un versante spirituale della faccenda. Si sa che, nonostante il detto: “Co’l corpo se frusta, l’anima se giusta” (“Quando il corpo si consuma, si cerca di aggiustare l’anima”, ndr), quando si sta male, si fa fatica a pregare. Lo confermo. Nei momenti di maggiore lucidità, sono riuscito a celebrare – per conto mio – l’Eucaristia, mentre per il resto ho recitato qualche salmo o “pezzi” di rosario oppure delle semplici giaculatorie del tipo: “Signor, jùteme!” (“Signore, aiutami!”, ndr). Le famose giaculatorie delle nonne, quelle – a mio avviso – che il Signore ascolta più volentieri, immancabilmente. Come a dire che la vita spirituale non si improvvisa e non si recupera “in zona cesarini”, ma va coltivata adeguatamente nel tempo della salute e della forza. Forse la parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte, di domenica scorsa, vuole dirci qualcosa del genere: l’olio per le lampade o lo prepari ben prima, come le vergini sagge, oppure, all’ultimo, se non lo hai, resti senza e basta, come le vergini stolte.
Salendo al rifugio dei Loff, qualche tempo fa, con degli amici, sentivo parlottare: “No vede l’ora de ‘ndar in pension, par goderme a vita” (“Non vedo l’ora di andare in pensione, per godermi la vita”, ndr), diceva uno. “A parte che bisogna veder se i te la da – rispose l’altro -, ma secondo mi se te vol goderte a vita, l’è mejo che te scumizie dess, parché no te sa come che te sarà mess co te riva la pension” (“A parte il fatto che bisogna vedere se te la danno, secondo me se vuoi goderti la vita è meglio che cominci adesso, perché non sai come sarai messo quando arrivi alla pensione”).
Già, a volte le nostre vite sono un po’ come le ruote dei criceti e noi il criceto all’interno che le fa correre vorticosamente (in attesa della pensione?). Forse è meglio rallentare, guardarsi intorno ed apprezzare il bello che c’è, finché c’è luce. E ringraziare il Signore e chi ci sta vicino.
Alessio Magoga
direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)