Nulla capita a caso! Quest’espressione così semplice, di primo acchito, è di grande ammaestramento. Quattro parole che aprono a degli avvenimenti a volte sconvolgenti, come quando Siddharta Gautama, il Buddha, a Benares, a 35 anni, sotto un albero ebbe la rivelazione che la vita è maturazione, dolore, passaggio e, ancor più, liberazione.
Solo attraverso i grandi maestri, autori nella storia di tracce profonde, possiamo apprendere che la vita è più della somma degli anni. Dello stare al passo con le mode del momento o del salire sul primo treno che passa pur di fare qualcosa.
Si pensi solo a Mosè. Nel capitolo terzo dell’Esodo, si racconta che mentre stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, arrivò con tutto il bestiame oltre il deserto al monte di Dio, l’Oreb, per un incontro che Dio stesso gli aveva preparato attraverso il grande spettacolo del roveto ardente.
L’incontro che cambia la vita
Ma, senza proseguire con altri riferimenti alle vite particolari dei tanti altri maestri che rendono affascinante ed emblematica ogni tradizione culturale, ciascuno di noi potrebbe raccontare quella volta in cui un incontro, un’esperienza ha cambiato la sua vita o avrebbe potuto intraprendere tutt’altra direzione!
Il caso non esiste. Così ci insegna anche la Bibbia, in ogni sua pagina. Già la stessa lingua ebraica non ne conosce l’esistenza. Dinanzi a ciò che ogni giorno la vita ci offre, è necessario ragionarci di più. Avvicinarsi di più per scrutare l’orizzonte con maggiore attenzione e sempre crescente meraviglia.
Ma a tutto questo ci si prepara, nessuno, infatti, nasce imparato. È quello che è successo a me e me ne dolgo amaramente!
Negli anni Settanta, prima da laico poi da sacerdote, ho fatto una bellissima esperienza di vita cristiana nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie in Acireale. Il parroco era il santo sacerdote, don Salvatore Messina, nipote del Can. Francesco Foti.
A lui, come a noi tutti, toccò di vivere la stagione difficile ed esaltante del Concilio, cercando di riportare nel cuore della vita la forza rinnovatrice del Vangelo.
Don Zeno Saltini
In quegli anni, Padre Messina era venuto a contatto con don Zeno Saltini. Ed era rimasto affascinato da quell’esperienza di vita evangelica testimoniata dagli uomini e dalle donne della Comunità di Nomadelfia, fondata e tenacemente voluta dallo stesso Don Zeno. Entusiasmato ed incuriosito, Padre Messina, allora, lo invitò nella sua parrocchia. E riuscì anche ad organizzare in Piazza Duomo ad Acireale lo spettacolo itinerante realizzato dalla gente di Nomadelfia. In quello spettacolo don Zeno spiccava per il suo inconfondibile copricapo, da noi chiamato “burritta”. Ricordo che era pieno agosto ed Acireale era deserta, assonnata, direi quasi disinteressata. Non fu l’unica volta che don Zeno propose il suo spettacolo. Tornò una seconda volta, negli anni successivi, ma anche questa volta notai la scarsa partecipazione della gente per quello “spettacolo” e tutto finì lì. Io di don Zeno non ricordo altro.
Ma, in questi anni, mi sono chiesto tante volte: come è potuto accadere che don Zeno sia venuto a casa mia e io non me ne sono accorto? che non mi sia curato di riceverlo con interesse accostandomi a lui per porgergli qualche domanda sulla sua singolare esperienza?
Perché abbiamo trascorso gran parte della nostra vita senza avere contezza piena degli avvenimenti e delle persone che hanno vissuto e sono morte per rendere vivo e vero l’insegnamento di Cristo? Perché si viveva chiusi nel nostro piccolo mondo senza partecipare alla vita che Dio stesso mostrava, mandandoci per nostro ammaestramento i suoi profeti? Quanta colpevole pigrizia c’è stata e continua ad esserci in noi!
E con don Zeno anche Danilo Dolci
Negli anni Novanta un’altra esperienza. Nel 1992, nella sede della Comunità “Tra i tempi” di Acireale, in via Genuardi, ho accolto Danilo Dolci, soprannominato il Gandhi di Sicilia. Ricordo l’incontro fatto con i giovani della Comunità e il come rimanemmo tutti edificati ed entusiasti. Ho avuto modo di parlare con lui, con l’uomo che aveva scelto di vivere in Sicilia, con uno stile assolutamente sconvolgente, da profeta disarmato. Fu per me un incontro importante ma incompiuto. Mentre ci recavamo nella mia parrocchia di Aci Platani, gli chiesi solamente se avesse conosciuto personalmente don Milani. E avendone ricevuto una risposta affermativa, ci soffermammo a parlare di Milani e della sua scuola.
Poi lo portai alla Preghiera della Sera che in chiesa Madre si svolgeva per opera della “Comunità San Damiano”, da me fondata. E vi prendemmo parte come due semplici fedeli, seduti per terra. Incredibile!
Dopo ci siamo intrattenuti per qualche oretta parlando di preghiera, di Dio, e della sua esperienza fatta a Nomadelfia con don Zeno. Ma fu un incontro breve seppur intenso, un comunicare importante ma con tanti miei rammarichi.
Di fronte a lui mi sono sentito troppo piccolo, impacciato: non sono stato capace di capire compiutamente quella esperienza.
Lui mi confidò di avere una preoccupazione grande per la sua opera e mi chiese di dargli una mano. Tutto rimase sul piano di quelle poche, scarse, lapidarie parole e la mia conoscenza personale con Daniele Dolci porta in sé una ferita profonda e dolorosa, perché non sono stato all’altezza di quanto mi si chiedeva! Non ero assolutamente preparato e ho perduto un appuntamento unico.
Chi erano don Zeno e Danilo Dolci?
Ma chi sono costoro? Perché li sto ricordando?
Danilo Dolci, classe 1924, nasce a Sesana, allora in provincia di Trieste, oggi Slovenia, muore a Partinico 1997. Sociologo, educatore, poeta. Dopo gli studi in Architettura, nel 1952 si trasferisce a Nomadelfia “la città dove la fraternità è legge”, presso Fossoli nel Modenese, per vivere l’esperienza della Comunità animata da don Zeno Saltini.
Don Zeno Saltini nasce nel 1900 a Carpi, nono di 12 figli. Si laurea in legge alla Cattolica di Milano. Nel 1931 diventa sacerdote, dedicandosi ai più poveri e ispirandosi alle Comunità cristiane descritte negli atti degli Apostoli, fonda Nomadelfia. Questa Comunità fu avversata da tanti per odore di comunismo perché tutti uguali, tutti figli e tutti con tutti i diritti. Nel 1952 il Santo Uffizio obbliga don Zeno a ritirarsi e il Ministro dell’Interno Mario Scelba, nello stesso anno, decreta lo scioglimento della Comunità. Don Zeno, per non abbandonare quelli della Comunità, chiede e ottiene di essere ridotto allo stato laicale.
Dolci abbandona Nomadelfia e scese a Trappeto e fonda la Comunità Borgo di Dio, che deve molto al modello di Nomadelfia, ma nello stesso tempo ne è assai distante, perché rispetto a quella non è dichiaratamente ispirata a un cristianesimo sociale e nemmeno lontanamente a un sentire cattolico. Danilo Dolci rifuggiva da ogni tipo di definizione. Né aveva sentite tante e, soprattutto, né aveva visto tantissime a Nomadelfia, restandone sconcertato! Il suo essere religioso, certamente, è da ricercare nell’aver scelto con tutto il suo essere di stare dalla parte degli altri specie se poveri, esclusi e sudditi. Egli scelse di amare visceralmente lo scarto della società.
Nel 1962 don Zeno ottiene da Papa Giovanni XXIII il permesso di tornare a celebrare messa. Nomadelfia diventa parrocchia e don Zeno il suo primo parroco. Nel 1980 porta la gente della Comunità da Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo. Don Zeno muore nel 1981, ma Nomadelfia vive ancora e desta sempre attenzione, infatti, nel 1989 riceve la visita di Giovanni Paolo II e nel 2018 quella di Papa Francesco.
Il racconto di questi incontri si inserisce in un cammino che voglio compiere che mi piace definire Cammino di Purificazione della Memoria, ricordando quello che diceva San Giovanni Paolo II. Ogni comunità cristiana, oggi, deve sapere usare contemporaneamente due registri. Quello del Vangelo da testimoniare agli uomini del nostro tempo e l’altro della Purificazione della memoria con maturità di gesti e di comportamenti.
Don Zeno e Danilo Dolci, due occasioni mancate
Se fossi stato più preparato e pronto a cogliere la possibilità che mi era stata data con l’incontro con don Zeno Saltini prima e successivamente con Danilo Dolci, avrei potuto capire compiutamente non solo il rapporto don Zeno – Dolci, ma soprattutto le motivazioni vere, personali, intime che portarono Dolci a lasciare Nomadelfia e a stabilirsi in Sicilia, a Trappeto. Nella vicenda molto particolare di Dolci, nella sua vita e nelle sue scelte di fondo, c’è qualcosa che è emerso poco e che è sceso con lui nella tomba.
Io sto a leccarmi le ferite e a mordermi le dita, perché, ripeto, avrei permesso anche allo stesso Dolci di scavare più a fondo nel suo animo, nelle sue scelte, nella sua stessa vita. Tutto ciò è soltanto incredibile!
Mi sono sempre chiesto, infatti, del perché la Chiesa di Sicilia non capì, anzi osteggiò apertamente Dolci, come il nemico numero tre della Sicilia, dopo la Mafia e il Gattopardo, così come si legge, nella ormai tristemente famosa lettera Pastorale del Cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, del titolo emblematico “Il vero volto della Sicilia”, del 22 marzo 1964.
Voglio però qui ricordare che, al contrario di tanti uomini di Chiesa, proprio alcuni laici percepirono maggiormente il senso e il peso delle azioni di Dolci; sia il nostro Santo Calì, poeta linguaglossese, entrò in contatto con Danilo Dolci e nel 1971 organizzò una gita a Partinico per far conoscere i luoghi di quella esclusiva esperienza e poi, il dirigente scolastico, Giovanni Vecchio, allora professore di Filosofia al Liceo Scientifico di Linguaglossa e suo amico, fece incontrare Danilo Dolci con gli studenti del Liceo in occasione di un’assemblea scolastica l’11 dicembre 1980, su “Cosa è poesia”.
Don Zeno e Danilo Dolci, motivo di riflessione
Per saper leggere i segni dei tempi, compito di ogni comunità cristiana, anche se piccola che vive nel territorio, è necessario attingere alla ricerca storica. Quella più seria e più accreditata e contribuire a ricostruire la storia delle nostre parrocchie, prima che sia troppo tardi. C’è una generazione che ha fatto la storia dei nostri paesi e parrocchie che, per ragioni semplicemente anagrafiche, si assottiglia sempre di più, ma che costituisce ancora una preziosa banca di notizie, di fatti, di coinvolgimenti, di pigrizie che aspetta di essere riconosciuta come l’unica risorsa aurea che possediamo. È tempo di fare scelte serie, di lungo respiro. La vita delle nostre comunità parrocchiali, oltre alle buone intenzioni e, salva sempre la buona volontà di noi tutti, è intrisa di inveterata pigrizia che poggia principalmente sull’assunto che “si è fatto sempre così”. Ed anche per questo urge prestissimo un cambio di passo.
Ci vogliono persone che sappiano rispondere alle grandi domande di senso oggi con cammini esperienziali e comunitari facendo piazza pulita delle belle chiacchere trite e ritrite.
La storia della nostra comunità aspetta di essere riscritta e noi tutti insieme, anche se pochi si appassioneranno ad essa, ne possiamo essere gli autori!
Dio sta scrivendo la storia: è sempre all’opera! Egli scrive dritto anche quando a noi sembrano linee storte. Dio gioca con i giochi degli uomini e ci sorprenderà sempre!
don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa