“I musulmani una volta alla vita sono tenuti a compiere un viaggio alla Mecca, i credenti nell’umanità sono tenuti a compiere un viaggio ad Auschwitz”. Queste sono le parole pronunciate da una delle diverse guide avute nel mio viaggio scolastico in Polonia.
In Polonia ogni pietra parla di memoria e il ricordo dello sterminio degli ebrei è più vivo che in qualunque altra parte del mondo. In ogni angolo di Varsavia e Cracovia, accanto a monumenti, statue e lapidi dedicati a eroi nazionali e uomini illustri, ci sono quelli che ricordano l’uccisione dei prigionieri del campo di sterminio.
La visita ad Auschwitz inizia all’incirca verso le due del pomeriggio. All’ingresso recintato dal quale si intravedono le costruzioni di mattoni rossi, c’è un salice piangente; magari esisteva anche a quei tempi e magari non è spuntato lì per caso. Sembra che anche la natura non voglia dimenticare e che non smetta di versare lacrime silenziose ed invisibili; no, forse dovrei dire Dio… ma no, com’è possibile che il Dio che professiamo, il Dio amore, buono e giusto, abbia permesso una cosa del genere? E così abbandono questa idea e penso all’unico artefice: l’uomo. Eppure il sinonimo di umano è gentile, generoso. Ma si possono definire esseri umani coloro che hanno fatto un simile massacro? L’uomo è il peggiore degli animali, forse proprio in virtù di una ragione, di una mente troppo facilmente plasmabile che lo fa sentire superiore persino in confronto a Dio. Che arma pericolosa la mente… Com’è assurdo concepire che dietro a miglia di vittime, ci sia stato un progetto. Un vero e proprio progetto, ideato e studiato nei minimi dettagli, un progetto di sterminio, di “pulizia etnica”. Era tutto scritto su carta, tutto premeditato e poi portato a compimento con “successo”.
È difficile descrivere a parole il peso che si percepisce nel petto quando si cammina per quelle stesse strade per le quali hanno camminato migliaia di persone che pativano la fame, la sete e la fatica dei lavori, i cui corpi scheletrici erano coperti da un filo di tessuto quando fuori le temperature arrivavano a -30 C°. All’interno del museo la storia ci viene spiegata più in dettaglio e guardando ciò che rimane ci si immedesima ancora di più. C’è un silenzio di rispetto, ma sono in pochi quelli che rinunciano a scattare foto al museo. Io non ci riesco. Mi sento come paralizzata, non riesco nemmeno a piangere, è troppo difficile concepire una simile follia. Ciò che resta delle vittime innocenti è raccolto dietro grandi lastre di vetro: i capelli delle donne utilizzati per ricavare stoffa, proprio come oggi facciamo noi con la pelle degli animali, i vestiti dei bambini che rendono tutto ancora più cruento, le valigie che parlano di un viaggio senza ritorno, oggetti di una vita quotidiana che non esisterà più.
Se le costruzioni rosse di Auschwitz c’erano prima della caserme che si sono prestate a luogo di carneficina, Birkenau è stato costruito su altri morti. Era in origine un villaggio che fu raso al suolo dai tedeschi per fare spazio alla creazione del campo di sterminio dotato di ben 4 forni crematori nei quali venivano bruciati giornalmente più di 5 mila deportati (principalmente ebrei e i prigionieri di guerra russi). Tra le 45 strutture conservate, visitiamo la baracca 25 detta “baracca della morte”. L’interno è una rivisitazioni delle stalle; si dormiva anche sulla nuda terra, che con le pioggia diventava fango e si moriva affogati; d’inverno si formavano lastre di ghiaccio e si moriva per ibernazione; i topi portavano malattie e si cibavano dei cadaveri. L’unica via d’uscita era la morte.
Uomini sfruttati e trattati peggio degli animali. A sentire le descrizioni della guida e a vedere con i propri occhi è difficile crederci, si prova uno stato d’animo diviso tra una consapevolezza interiore dei fatti e la difficoltà a credere che un massacro del genere sia realmente accaduto. Non si comprende perché è troppo difficile realizzare che circa 15 milioni di morti sono stati causati da mente umana.
Dalla visita ai campi di sterminio si torna decisamente più toccati e consapevoli degli eventi, eppure non cambia molto. E sorge una domanda che forse non ha risposa: “A cosa serve ricordare se la storia non cambia?”
L’olocausto è tra le tragedie più grandi della storia dell’umanità, ma in seguito ad essa non si sono estinti né le ideologie razziali né i genocidi. Vittime innocenti in tutto il mondo continuano ad esistere tutt’oggi e noi continuiamo ad essere impotenti di fronte al nostro stesso simile. Stesso uomo stessa storia.
Eugenia Castorina