I tre anni travolgenti che cambiarono il volto della Chiesa non sono trascorsi impunemente perché la stanno cambiando, momento per momento, e la cambieranno ancora. E’ facilmente dimostrabile come il Servo della carità per ogni persona, Francesco, non lo si possa tirare dalla propria parte e invece spezzi gli schemi, sia estremamente concreto e nulla abbia a che spartire con qualche accademia di pensiero o sedicente tale che elucubra e non opera mai.
I tre anni travolgenti che cambiarono il volto della Chiesa non sono trascorsi impunemente perché la stanno cambiando, momento per momento, e la cambieranno ancora finché Francesco, vescovo di Roma, non renderà il suo soffio, in un bacio d’amore, a Colui che glielo ha donato creandolo. Non sono perifrasi gentili o artefatte per annunciare una realtà talmente drammatica da aver bisogno di allontanarla ed esorcizzarla in ogni modo, vale a dire finché Francesco morirà. Come tutti e chiunque peraltro.
È una questione di Soffio: dal suo librarsi sulle acque alla creazione, al suo librarsi continuo su di noi, viandanti nella storia dell’umanità, al Suo trapassarci nel nostro quotidiano che solo così può essere tale e non renderci cadaveri perché il Soffio ci anima.
Francesco cattura il Soffio, se ne lascia trapassare mentre Egli percorre i secoli con inaudita dolce violenza, sfidando regnanti e reami, ideologie e potenze, culture e nazioni imperanti. Il Soffio sussurra, spazza, libera, infonde certezza. Non lo prendi in mano e non lo catturi. Il Soffio ti prende e ti invade ma esige concretezza.
Infatti, è facilmente dimostrabile come il Servo della carità per ogni persona, Francesco, non lo si possa tirare dalla propria parte e invece spezzi gli schemi, sia estremamente concreto e nulla abbia a che spartire con qualche accademia di pensiero o sedicente tale che elucubra e non opera mai.
Maestro quindi di vita evangelica, di quel tessuto che, giorno per giorno, viene creandosi con gesti minuti, magari inosservati ma che urlano nella modestia della silente esecuzione che non esiste la cultura dello scarto, che nessuno animato dal Soffio (consapevole o meno) sia destinato al trash e quindi fatto sparire dal display del pc o del cellulare per precipitare nel nulla della dimenticanza.
La pastorale popolare di Francesco non si oppone a pastorale raffinata e ricercata ma trova il suo perno proprio nel popolo, senza discriminazioni di nascita, censo o colore. Tutti, significa semplicemente tutti, nessuno escluso.
Abitare Casa S. Marta significa rinunciare a dimore in cui un povero, entrando, si troverebbe a disagio. Ospitare sotto il colonnato di S. Pietro docce e barbieri per i clochard non intende deturpare l’arte ma porla al servizio di chi, se non viene soccorso nella sua miseria, non ha neppure occhi per vederla.
Le periferie si misurano non dal centro del mondo ma dal centro del proprio egoismo, sbalzare fuori dai propri circuiti chiusi che da persone comuni erigiamo a nostra protezione oppure per chi, nel grande disegno di Dio si è visto assegnare un ruolo dirigenziale, ricordarsi che “nel complesso mondo dell’impresa, ‘fare insieme’ significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. Tra questi, anzitutto, le famiglie, focolai di umanità, in cui l’esperienza del lavoro, il sacrificio che lo alimenta e i frutti che ne derivano trovano senso e valore”.
Periferia è il continuo, ininterrotto flusso di popoli, sporchi, laceri, affamati e oppressi: “Cercare la giustizia, soccorrete l’oppresso: rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova, pensate ai tanti profughi che sbarcano in Europa e non sanno dove andare”.
Evangelizzare esige il coraggio di gridare che “il Popolo di Dio, cioè la Chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi, se viene qualche “benefattore” con offerta frutto del sangue di gente sfruttata, maltratta, schiavizzata, con il lavoro mal pagato, io dirò a questa gente, ‘per favore portati indietro il tuo assegno, brucialo’”.
Come risposta concreta: non lasciarsi servire nel miglior ristorante romano ma fare la coda per la cena in mensa e mangiare quel che c’è e non quel che si vorrebbe ci fosse. Come i poveri.
L’arcata della storia viene costruita dalla banalità del gesto quotidiano ripetuto, fissando nella liquidità punti fermi, segni concreti che dimostrino l’impegno per la pace e la vita:
“Vorrei citare l’iniziativa dei corridoi umanitari per i profughi, avviata ultimamente in Italia. Questo progetto-pilota, che unisce la solidarietà e la sicurezza, consente di aiutare persone che fuggono dalla guerra e dalla violenza, come i cento profughi già trasferiti in Italia, tra cui bambini malati, persone disabili, vedove di guerra con figli e anziani”. Insieme da fratelli semplicemente cristiani.
Con un bersaglio da colpire: l’indifferenza, nel nome delle sorelle che hanno testimoniato ad Aden per tutti noi la fede in Cristo: “Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza, a cui non importa…”.
Parole quelle di Bergoglio, illuminato dal sorriso, che assomigliano sempre più da vicino alla Parola dell’Altissimo che, una volta espressa compie, per una sola ragione (o sragione per molti): perché “Il nome di Dio è Misericordia”.
Cristiana Dobner