Attesa e silenzi: “Aspettando Godot” con Ugo Pagliai ed Eros Pagni

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“Aspettando Godot”, capolavoro di Samuel Beckett, dall’8 al 20 marzo, per la stagione del Teatro Stabile di Catania. Protagonisti due straordinari interpreti del panorama teatrale: Ugo Pagliai ed Eros Pagni, per la prestigiosa regia di Marco Sciaccaluga. Intense emozioni e dialoghi impeccabili per lo spettacolo, prodotto dallo Stabile di Genova, che riesce a scarnificare la parola, riuscendone a stravolgerne la funzione. In “Aspettando Godot” il succedersi delle battute non indica, ma addirittura contraddice l’azione. “Let’s go” (Andiamo) asseriscono Vladimiro ed Estragone, e intanto la didascalia chiosa l’opposto “They do not move” (Non si muovono). E sul rapporto tra significante e significato, tra forma e contenuto della parola gioca l’irlandese Beckett in questo testo rivoluzionario del teatro del Novecento. Rivoluzionario a partire dal suono evocativo che sprigiona il nome “Godot”. Ma la trasformazione in Godot ha dato adito a complesse analisi, laddove God, dio in inglese, si fonde in Beckett con dot, suffisso che in francese funge da diminutivo. Inestinguibili attese, scandite da dialoghi “paradossali” e silenzi “assordanti” hanno contraddistinto una rappresentazione armoniosa e ben messa in scena. «Non c’è nulla di più comico della tragedia» ha scritto Beckett. E questo dramma è appunto, una tragicommedia, costruita intorno alla condizione dell’attesa, di cui sono protagonisti due strani esseri umani, che per due atti si ritrovano sotto un albero spoglio in una deserta strada di campagna. Sono lì perché un certo Godot ha dato loro appuntamento. Gettati ai margini di una società che non conoscono, in uno spazio insieme astratto e concreto, nel quale irrompe a un certo momento un’altra strana coppia (quella formata da Pozzo e Lucky), Estragone e Vladimiro sembrano usciti da una comica del cinema muto, abitanti di un universo (molto simile al nostro) dove la fantasia può invadere la scena e prendere il sopravvento sulla morte, facendo trionfare sul palcoscenico un eccentrico mondo interiore, fatto di lazzi, gestualità, nonsense e divertenti assurdità: la vita stessa, insomma.

Giovanni Rinzivillo