La storia di Bohdan dimostra che in piazza non ci sono solo estremisti? “Questa è la propaganda russa a dirlo, che viene purtroppo digerita in Europa. Ci sono milioni di persone che hanno manifestato in Maidan in modo pacifico e lo hanno fatto per mesi, di notte, con temperature freddissime che sono arrivate anche a 20 gradi sotto lo zero. E questo non fa impressione? Noi diciamo: venite e vedete. Venite a vedere lo spirito generoso, festivo anche di Maidan. C’è una gioia e una dignità che è quella data da Dio: questo è lo spirito con il quale la gente sta in piazza e per il quale la gente viene a Maidan”. Che cosa si spera oggi per l’Ucraina? “Ci sono movimenti positivi oggi nel Parlamento. L’augurio è che il diritto diventi uguale per tutti. E che quelli che hanno oltrepassato e forzato non solo i diritti ma anche la ragione e la morale umane e cristiane siano cambiati. Dopo decenni di guerre e totalitarismo, in cui sono morti 17 milioni di ucraini e si è vissuto nella paura, bisogna ridare spazio a uno sviluppo della dignità umana data da Dio. È in atto nel Paese una celebrazione della vita. Che questa vita non sia calpestata e che questo spirito che si respira a Maidan possano influire sulle strutture politiche, sulla vita economica e sulle relazioni sociali. Stiamo vivendo un’esperienza forte e autentica. Il sangue dei martiri è seme della fede e di un futuro nuovo per il Paese”.
Ucraina / Bohdan, 29 anni cattolico, tra le vittime del massacro di Maidan
Tra i cento morti ieri a Kiev c’era anche Bohdan Solchanyk, giovane docente di storia moderna all’Università Cattolica di Leopoli. Borys Gudziak, vescovo greco-cattolico e presidente dell’Università, lo conosceva molto bene: “È in atto nel Paese una celebrazione della vita. Stiamo vivendo un’esperienza forte e autentica. Il sangue dei martiri è semi della fede e di un futuro nuovo”.
“Aveva 29 anni. Era un ragazzo molto lucido, pacifico, con un radicato senso per il bene comune”. I morti di Maidan cominciano ad avere un volto, un nome e un cognome. Hanno tutti una storia diversa ma un’aspirazione comune così forte da decidere di dare la vita. Tra i cento morti ieri a Kiev c’era anche Bohdan Solchanyk, giovane docente di storia moderna all’Università Cattolica ucraina di Leopoli. Non aveva ancora finito il dottorato. Aveva una ragazza a Leopoli che ancora lo aspetta. Anche lei studia nella stessa Università. Monsignor Borys Gudziak, vescovo greco-cattolico e presidente dell’Università, lo conosceva molto bene.
Perché Bohdan era andato a Kiev? “Era arrivato ieri mattina a Kiev alle sei. Come migliaia di persone che da tutte le parti di Ucraina vengono e vanno ormai da tre mesi a Kiev in piazza, anche lui voleva sostenere questa testimonianza dello spirito che si fa nel cuore del Paese. E lui come queste migliaia di persone è venuto ed è diventato purtroppo un obiettivo. Lui era là, senza armi, senza niente. Con un collega, un alunno della nostra Università, stava andando verso la barricata, poi hanno cominciato a sparare. Qualcuno è stato colpito, hanno cominciato a soccorrere i colpiti. Poi si sono persi. Per più di mezz’ora lo hanno cercato, lo hanno chiamato al telefono ma non rispondeva e a quel punto lo hanno cercato tra i corpi morti per terra. Ce n’erano cento. E tra quei cento hanno trovato il suo corpo”. Cosa spinge un giovane a dare la vita per l’Ucraina? “Tante persone da anni soffrono nella loro dignità. Soffrono senza che nessuno sappia cosa succede veramente. Per tutto un secolo all’Ucraina è stata negata la lingua, la cultura, la libertà, la dignità. Dopo l’indipendenza è giunto un soffio di libertà. Di fronte però al crescente autoritarismo e a una corruzione scatenata, questa nuova generazione vuole un’altra vita per sé e per i suoi figli. E se il potere diventato completamente immorale vince, se questo modo di governare è il futuro dell’Ucraina, allora si scende in piazza e si rischia tutto. Questa è la motivazione di tanti. Non si va in piazza per essere sparati. In questo senso è gente pura. Sono puri di cuore”.
Maria Chiara Biagioni