Ue: è tempo di di rinforzarla, non di indebolirla

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Non decostruiamo l’Europa! Non facciamo della moneta comune il pomo della discordia, ma difendiamo questa espressione della solidarietà europea con convinzione. Non cessiamo di rispettare lo spazio Schengen, ma manteniamo questa espressione formidabile della libertà in Europa.
In entrambi i casi, è importante oggi rispettare il diritto e amare il dialogo. Per ora, i Trattati non prevedono il “bail-out” di un Paese della zona euro in difficoltà con le finanze pubbliche. Per questa ragione sarà necessario un emendamento al Trattato dell’Unione europea per consentire il sostegno degli altri Stati membri quando è in gioco la stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme. Questo cambiamento è indispensabile sul piano giuridico per attuare il futuro meccanismo di stabilità europeo che, a partire dal 2013, agirà come una specie di Fmi europeo. E inoltre bisogna, d’altro canto, incoraggiare la ripresa del dialogo tra il nuovo governo irlandese, i tedeschi e i francesi per arrivare a un riassetto degli aiuti europei alla Repubblica d’Irlanda. Sarà necessaria un po’ più di flessibilità – da entrambe le parti – per ridonare un barlume di speranza all’economia irlandese.
Diritto e dialogo anche quando si affronta la questione dei rifugiati che attualmente arrivano in gran numero in Italia e a Malta. L’Italia ha il diritto di rilasciare permessi di soggiorno ai migranti e la Francia ha il diritto di porre loro un certo numero di condizioni per poter soggiornare in Francia. Questo è conforme al diritto, precisamente al codice ‘Frontiere Schengen’. Inoltre la direttiva “rimpatri” dell’Unione europea prevede la riammissione di persone provenienti da Paesi terzi sulla base di accordi bilaterali come quello che dal 1997 lega la Francia e l’Italia. E ancora, il rifiuto del Consiglio dei ministri degli Interni dell’Ue dell’11 aprile di attivare una clausola di solidarietà per la protezione temporanea in caso di afflusso massiccio si fonda innegabilmente sul diritto comunitario. Le persone che arrivano attualmente in Italia non rientrano – nella grande maggioranza – nella categoria delle persone sotto protezione internazionale oggetto della direttiva e spetta al Consiglio stabilire se l’Italia si trovi o meno in una situazione di afflusso massiccio. Tuttavia, il diritto non è tutto e bisogna sperare che il dialogo riprenda presto il sopravvento: durante il summit franco-italiano sull’immigrazione del 26 aprile, nel probabile nuovo Consiglio dei ministri degli Interni il 12 maggio e al Consiglio europeo del mese di giugno.
Tuttavia, gli attriti tra europei sono una cosa, ma la discrepanza tra il Nord e il Sud del Mediterraneo può essere ancora più inquietante. È con tono d’urgenza che mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat, scriveva a fine marzo ai vescovi di Francia: “Quello che mi preoccupa enormemente è il modo in cui gli immigrati provenienti dalla Tunisia, dall’Egitto o dalla Libia sono trattati… la maniera in cui il Fronte nazionale ha guadagnato voti… È questo che ci farà più male di qualsiasi altra cosa… Quand’è che l’Europa aiuterà efficacemente il Maghreb e l’Africa? …altrimenti ci troveremo in uno tsunami della migrazione. È questa distorsione tra ciò che voi vivete in Europa e ciò che si vive in Africa la causa di quanto sta succedendo… la libertà, la giustizia, la dignità, tutto questo voi lo conoscete già, come aiuterete anche noi a conoscerlo?”.
Nel novembre 1989, dopo la caduta del muro di Berlino, il cancelliere tedesco Helmut Kohl presentò al Bundestag il proprio piano in dieci punti per affrontare la riunificazione tedesca. Dove sono oggi in Europa le personalità di primo piano che siano in grado di presentare in pochi punti un piano d’emergenza per aiutare il Maghreb, il Mashrek e tutto il continente africano? Un piano del genere contenente la promessa di promuovere la solidarietà e difendere la libertà deve fondarsi sui principi del diritto e del dialogo. La proposta della Commissione europea d’inizio marzo era una buona proposta in questa direzione, ma non era sufficiente e non abbastanza udibile. Senza una prospettiva di questo genere, giovani tunisini in cerca di lavoro e in fuga dalla miseria continueranno ad arrivare a Lampedusa, nonostante la primavera araba.

 

Stefan Lunte

SIR